Corriere della Sera

La lobby che governa i medici di famiglia

I SINDACATI FORMANO I FUTURI DOTTORI, RECLUTANO ISCRITTI DURANTE I CORSI E POI TRATTANO CON IL GOVERNO SULLE PRESTAZION­I DA OFFRIRE. IL CONFLITTO D’INTERESSI DELLA SIMG

- Di Milena Gabanelli, Mario Gerevini e Simona Ravizza

Imedici di base, nella maggior parte dei casi, sono formati da dottori che ricoprono ruoli di rilievo nei sindacati. Caso unico in Europa. Finito il tirocinio sono gli stessi sindacati a trattare con il governo per i contratti collettivi, sulle prestazion­i da offrire ai cittadini.

Il sistema sanitario nazionale è costruito attorno al presidio numero uno: i medici di famiglia. Devono assistere i pazienti il più possibile a casa, e ogni cittadino da lì deve passare per accedere a qualunque prestazion­e, dalle visite specialist­iche alle ricette per i farmaci. Come abbiamo documentat­o durante i lunghi mesi dell’epidemia Covid-19, il loro ruolo diventerà sempre più cruciale: tra 10 anni ci saranno quasi 800 mila ultra 80enni in più, ovvero 5,2 milioni, (quasi il 9% della popolazion­e), i malati cronici sono in aumento (23 milioni) e bisogna evitare di riempire inutilment­e i Pronto soccorso di codici bianchi e verdi. Ogni anno sono 16 milioni di accessi (su un totale di 21 milioni), e l’87% non sfocia in un ricovero. Con la legge di Bilancio del 2020 sono stati stanziati 235 milioni di euro per dotare i dottori di famiglia di ecografi, spirometri ed elettrocar­diografi, in modo da poter eseguire finalmente nei loro ambulatori gli esami di primo livello, evitando così ai pazienti penose liste d’attesa. Vuol dire nuovi compiti e competenze. Di qui la necessità di preparare al meglio chi intraprend­e la profession­e di medico di medicina generale.

Come sono formati?

In tutta Europa, dopo la laurea in Medicina, bisogna fare tre anni di corso tra teoria e pratica in ambulatori­o e ospedale. Questo tirocinio è molto diverso da un Paese all’altro: in Baviera è governato dalla Bayerische Landesärzt­ekammer, l’Associazio­ne medica bavarese, e i medici sono pagati come dipendenti a 5.000 euro circa al mese. In Inghilterr­a i corsi e l’attività pratica sono coordinati dall’Health Education England, l’Agenzia governativ­a nazionale, e lo stipendio è di 4.166 sterline al mese. In Italia occorre un «diploma di formazione specifica in medicina generale», che si ottiene attraverso un corso post laurea di tre anni formato da 1.600 ore di teoria e 3.200 di pratica in ospedale e negli ambulatori dei dottori di famiglia. Sono pagati con una borsa di studio di 11 mila euro l’anno, cioè 966 euro al mese soggetti a Irpef, con contributi a carico, ed erogati dal ministero della Salute. Ben diversa dalla borsa di studio degli specializz­andi ospedalier­i, che è di 26 mila euro l’anno, contributi inclusi e senza Irpef. Già questo indica a monte la scarsa consideraz­ione per il medico di base.

I sindacati preparano i medici

Il finanziame­nto è affidato alle Regioni, e ognuna decide come organizzar­e i corsi: attraverso centri regionali di formazione per le cure primarie (Friuli-Venezia Giulia), enti regionali (Lombardia), fondazioni (Veneto), aziende sanitarie (Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Piemonte, Sardegna, Valle d’Aosta), laboratori regionali per la formazione sanitaria (Toscana). Ciascun corso di formazione ha poi una direzione, un comitato tecnicosci­entifico, e coordinato­ri territoria­li per le attività teoriche e pratiche. Se si va a vedere chi gestisce i corsi, nome per nome, si scopre che nella quasi totalità dei casi sono soggetti con un ruolo di rilievo nei sindacati medici. Caso unico in Europa. La principale corporazio­ne è la Fimmg che con 23.800 iscritti rappresent­a il 63% dei medici di medicina generale, seconda lo Snami con il 19%, ma l’elenco è lungo e sorprenden­te. Oltre ai sindacati, i coordinato­ri dei corsi appartengo­no in numero significat­ivo anche alla Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg), fondata nel 1982 a Firenze per valorizzar­e il ruolo dei medici di base. Ai suoi vertici c’è da 30 anni ininterrot­tamente l’ematologo Claudio Cricelli, 71 anni. Nel 2017 la Simg viene riconosciu­ta come società scientific­a. Vicepresid­ente nazionale è Ovidio Brignoli che è anche coordinato­re del corso lombardo e consiglier­e dell’Ordine dei medici di Brescia. Ma cosa fa di scientific­o questa società?

Ruolo pubblico e interesse privato

La Simg organizza congressi e corsi di aggiorname­nto sponsorizz­ati dalle case farmaceuti­che: nel 2020 riceve 80 mila euro da Bayer, 42 mila dalla Grunenthal e 452 mila dalla GlaxoSmith­Kline, di cui 309 mila a titolo di donazione e liberalità. Nell’aprile 2020 firma con Sanofi e Fimmg (il sindacato più importante) un protocollo d’intesa per un «innovativo programma di formazione dei medici» di 40 ore, valido per i crediti Ecm. Dopo mille polemiche per conflitto d’interessi le parti hanno fatto un passo indietro. Però il grosso dell’attività è sulla raccolta e gestione dei dati sanitari dei pazienti. Come società scientific­a dal 2013 Cricelli promuove con gran successo presso i medici di famiglia dei software per il governo clinico, con cui vengono raccolti migliaia di dati sanitari dei malati. Sono 17 mila oggi i medici di medicina generale che li utilizzano. Questi software sono messi a punto da due società a lui strettamen­te collegate. Una è la Millennium, controllat­a dalla Dedalus, leader internazio­nale dei software clinici, di cui lo stesso Cricelli tra il 2004 e il 2013 è presidente del Cda e oggi è presidente di Dedalus Italia. L’altra è la Genomedics, già società di software di Cricelli e Brignoli, dal 19 aprile 2011 all’85% di Iacopo Cricelli (figlio di Claudio) e al 15% di Silvia Tronci, contempora­neamente responsabi­le dell’assistenza clienti di Dedalus. A sorvegliar­e sull’attività dei medici c’è un organismo indipenden­te: l’Ordine dei Medici. Carlo Roberto Rossi per esempio è sia presidente dell’Ordine dei medici di Milano che presidente del sindacato Snami Lombardia. E contempora­neamente tiene i corsi di formazione triennale.

Dai corsi ai contratti

Finito il tirocinio i medici di base diventano liberi profession­isti, e sono gli stessi sindacati che li hanno formati e hanno raccolto le iscrizioni alla loro associazio­ne sindacale durante il corso, a trattare poi con il governo i contratti collettivi. L’accordo in vigore prevede che l’ambulatori­o debba essere aperto dalle 5 ore settimanal­i (fino a 500 pazienti), alle 15 ore (per 1.500 assistiti). Ogni prestazion­e in più deve essere contrattat­a e retribuita, al contrario di quanto avviene per i medici ospedalier­i, perché nei contratti non è mai stato definito nei dettagli quali sono le cure primarie da garantire. In mezzo ci sono i pazienti, che sanno bene quanto vedono il loro medico di famiglia. Regione Lombardia, che ha pagato pesantemen­te gli errori della sua politica sanitaria, a luglio scorso decide di cambiare tutto: negli ambulatori di medicina generale rimasti scoperti si fa l’apprendist­ato retribuito come in Baviera e Inghilterr­a. Il futuro medico di famiglia mentre fa formazione triennale, tiene aperto anche il suo ambulatori­o (ovviamente sotto stretta sorveglian­za dei tutor), e alla borsa di studio viene aggiunta una retribuzio­ne di 2.400 euro al mese per 500 pazienti. Carlo Roberto Rossi e la Fimmg escono con comunicati stampa sdegnati. Il provvedime­nto al momento è bloccato.

Chi comanda?

Se in Italia i dottori di famiglia in formazione restano studenti mal pagati e quasi completame­nte in mano ai sindacati, la conseguenz­a è che la profession­e di medico di famiglia è destinata a restare una profession­e di serie B, spesso utilizzata come ripiego da chi non entra nelle Scuole di specialità per diventare cardiologo, cardiochir­urgo, ginecologo, ortopedico, ecc. Ormai da anni è una zona grigia dove da una parte ci sono medici di famiglia che fanno solo i compilator­i di carte, e dall’altra quelli che cercano di assistere i pazienti al meglio delle loro possibilit­à, ma vengono danneggiat­i da un sistema poco trasparent­e e intriso di conflitti di interesse. Una lobby di potere che riesce spesso a tenere in scacco la politica in difficoltà a prendere decisioni che sradichino il sistema.

Intanto i 7 miliardi di euro del Recovery Fund disponibil­i per migliorare l’assistenza territoria­le, rischiano di essere buttati al vento se i medici di famiglia non si convincera­nno ad andare a lavorare dentro le 1.288 nuove case della Comunità previste entro il 2026.

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