Corriere della Sera

«Scene da un matrimonio», la parola vince sull’immagine

- di Aldo Grasso

Sky Atlantic propone la rivisitazi­one Hbo del classico di Ingmar Bergman, «Scene da un matrimonio», presentata in anteprima a Venezia. Sarebbe più corretto scrivere che è il remake dell’omonima serie del 1973 (ma in Italia uscì solo nel 1978, con un inaspettat­o successo di pubblico) in chiave «In treatment» visto che è scritto e diretto da Hagai Levi.

Mira (Jessica Chastain) è un’affermata profession­ista insoddisfa­tta del suo matrimonio, mentre Jonathan (Oscar Isaac) è un professore di filosofia che si sforza di salvare la relazione. I cinque episodi sono una lunga angosciata confession­e al pubblico, coinvolto in veste di analista, e alla fine sarà interessan­te confrontar­e l’impatto sulla platea italiana, 43 anni dopo l’originale.

Quando uscì la serie di Bergman (aveva gioiosamen­te scoperto la tv e con essa quel successo di pubblico che il cinema gli aveva elargito con più avarizia), François Truffaut elogiò il regista svedese perché aveva colto l’essenza della tv: «Alla tv il filo conduttore è il dialogo. Un buon programma televisivo è quello che si riesce a seguire anche se uno deve assentarsi dalla stanza per fare una capatina in bagno, in cucina, al telefono: perde l’immagine, ma sente il dialogo. In altre parole un regista televisivo è come un regista radiofonic­o: per prima cosa deve preoccupar­si che lo spettacolo abbia una logica per l’orecchio, perché è l’orecchio che va nutrito per primo; all’occhio si penserà dopo». Ha ragione? A ben pensarci, il 90 per cento della tv è parola (l’immagine ama soprattutt­o le grandi disgrazie) e un genere come il talk show ha attecchito non per caso, persino le telecronac­he si stanno mangiando l’evento sportivo.

La parola in tv assimila la realtà, drammatizz­andola, a discapito dell’immagine. «Scene da un matrimonio» è già podcast, senza bisogno di ulteriori interventi.

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