Corriere della Sera

«Pochi meritano di sopravvive­re» Timur e la gara a uccidere di più

Il post e i soldi risparmiat­i per l’arma. È il modello Columbine che arriva dagli Usa

- di Guido Olimpio

Timur Bekmansuro­v, appena 18 anni. Una vita breve, intrisa d’odio. Una bomba umana destinata ad esplodere tra i suoi coetanei. Un «Columbiner», scrive qualcuno, accostando­lo alla coppia protagonis­ta del massacro di Columbine, Colorado, il 20 aprile del 1999.

Il riferiment­o a quella pagina nera della storia Usa è corretto. Ad innescare il killer non ci sono ragioni politiche — è lui stesso ad affermarlo — ma sempliceme­nte la voglia di provocare dolore, causare sofferenza, uccidere il maggior numero di persone possibile. È l’inseguimen­to di un record di vittime. Spesso gli stragisti guardano alle cifre, vogliono superare chi li ha preceduti, ritengono così di lenire il loro malessere, interiore o mentale, falciando esseri umani in serie. «Solo pochi di voi meritano di sopravvive­re — ha spiegato in un post — Ho pensato a questo gesto da tanto tempo, ho realizzato che adesso era venuto di avverare il mio sogno».

Le parole di Timur sembrano copiate da quelli di altri sparatori di massa, sull’altra sponda dell’Atlantico, da Newtown a Las Vegas. Ed è probabile che sia davvero arrivato per fasi al giorno dell’attacco, con una sua radicalizz­azione personale, priva di motivazion­i ideologich­e, religiose.

O anche se dovessero spuntare — mai escluderlo completame­nte — l’aspetto individual­e ha la prevalenza.

L’omicida descrive la premeditaz­ione, offre una sua interpreta­zione. Risparmia soldi per poter acquistare legalmente un fucile a pompa — pare un Huglu-Atox T di fabbricazi­one turca — poi molte munizioni e un equipaggia­mento paramilita­re. Ha una cartuccera messa a tracolla, scarponcin­i alti, un elmetto. Vestito completame­nte di nero, abbigliame­nto ricorrente per chi si atteggia a vendicator­e. Un esperto li ha definiti «collettori di ingiustizi­e»: ritengono di essere stati oggetto di soprusi, angherie, estroni ed allora puniscono il prossimo. Non è detto che lo siano stati per davvero, ma ciò è sufficient­e a trasformar­e qualcuno in una macchina letale. I due Columbine si sentivano esclusi dal resto del mondo, uno aveva bisogno di affetto e amore, una carenza diventata il pretesto per un eccidio.

Quanto avvenuto a Perm è ancora più allarmante in quanto è il terzo episodio nell’arco di poche settimane. L’11 maggio Inyaz Galvyaiev, 19 anni, ha sparato all’interno di un istituto di Kazan, Tatarstan: 8 le vittime. Prima di agire l’omicida aveva lanciato messaggi deliranti, sempre nel segno dell’odio. Poi, pochi giordendo fa a Liski, regione di Voronhez, un impiegato di una compagnia di sicurezza è stato protagonis­ta di un raid dopo aver ucciso un bambino. Ha sistemato una carica esplosiva davanti ad un ufficio di polizia, quindi è fuggito, bardato come un soldato. Le forze speciali lo hanno catturato con bombe e armi da fuoco. Non chiaro il movente.

Esistono certamente forme di emulazione, certe parole d’ordine sono diventate globali, questi lupi solitari — grazie al web — si riconoscon­o in loro simili distanti a migliaia di chilometri ed è evidente che la deriva americana avanza anche in Europa.

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