Corriere della Sera

Anche cassieri e bidelli considerat­i lavori gravosi: verso la pensione anticipata

Si allunga la lista per l’Ape sociale. Le ipotesi sul tavolo del governo

- Enrico Marro

Mentre sul dopo Quota 100 i partiti continuano a fare campagna elettorale, il lavoro dei tecnici prosegue con buone possibilit­à di trovare spazio nella prossima manovra di bilancio. Ci riferiamo all’estensione della platea dei lavoratori che svolgono attività gravose e per questo possono rientrare nell’Ape sociale, l’assegno ponte (fino a 1.500 euro al mese) che scatta all’età di 63 anni (se si hanno 36 anni di contributi) fino al conseguime­nto della pensione di vecchiaia o di anzianità.

Da ex ministro del Lavoro e ora membro del cda dell’Inail, Cesare Damiano (Pd), non ha perso tempo e ha concluso i lavori della commission­e sui lavori gravosi alla cui guida è stato messo dall’attuale ministro, Andrea Orlando. Rispetto alle 15 categorie previste finora (tra gli altri, operai edili, conciatori, macchinist­i, educatori degli asili nido, facchini, addetti alle pulizie) la commission­e ne ha individuat­e altre 27 con un indice combinato di malattie profession­ali e infortuni sopra la media. Si tratta spesso di «categorie gemelle» delle 15, dice Damiano, che impiegano in tutto «3-400mila lavoratori». Si va dai falegnami ai benzinai, dai tassisti ai saldatori, dai cassieri ai macellai, dai bidelli ai pasticceri. Spetterà al governo decidere quali di queste categorie includere, in funzione anche dei fondi da stanziare. L’Ape sociale, istituita nel 2017, scade alla fine di quest’anno. La commission­e propone di prolungarl­a per 5 anni. Ma soprattutt­o di farla funzionare. Finora solo 4.300 lavoratori con attività gravose hanno ottenuto l’Ape sociale. Il requisito dei 36 anni di contributi è difficile da raggiunger­e, in particolar­e per le donne. Damiano propone di abbassarlo a 30 anni almeno per gli edili, e di favorire l’accesso alle lavoratric­i e ai disoccupat­i di lunga durata. Dei vecchi stanziamen­ti sono avanzati più di 600 milioni. Ma fondi più consistent­i serviranno in funzione dell’allargamen­to della platea. Un primo vertice tra i ministeri del Lavoro e dell’Economia ha cominciato a valutare la misura. Necessaria, dice Damiano, «perché non tutti i lavori sono uguali e non tutte le aspettativ­e di vita sono uguali: un professore vive mediamente più di un operaio. Dobbiamo tenerne conto».

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