UN AMORE A PRIMA NOTA REBEKA È NORMA A CATANIA «DA RAGAZZINA VIDI QUELL’OPERA E DECISI DI FARE LA CANTANTE»
Il capolavoro di Vincenzo Bellini in scena il 23 settembre nel teatro della città natale con la regia di Davide Livermore. Il soprano protagonista racconta il suo personaggio
«Un giorno chiesi a mio nonno: che cos’è l’opera? Accompagnami così lo vedi», mi rispose. Marina Rebeka aveva 13 anni. Al Teatro di Riga si dava Norma. L’opera che il 23 canta in casa di Bellini, a Catania. La regìa di Davide Livermore mette in scena, come mimo, Giuditta Pasta, che fu la prima interprete, e ora, vicina alla morte, ripercorre quel burrascoso debutto alla Scala del 26 dicembre 1831, associandolo a fatti privati e a eventi del Risorgimento. Marina, cosa disse a suo nonno a fine spettacolo?
«Veramente già all’intervallo gli dissi che volevo fare la cantante lirica. Si dice amore a prima vista? Lì fu amore alla prima nota. A quattro anni cantavo in un coro. Dopo Norma decisi di diventare solista». Cosa pensa di Norma?
«È una donna sincera, saggia, ha più cuore e coraggio di Pollione, che rappresenta il popolo romano, la civilizzazione: ma questa barbara (madre, figlia, amica, maga, guerriera, leader della sua gente) è più civilizzata di Pollione».
È vero che Casta diva la canterà…
«In sol maggiore, più acuta: è quella del manoscritto originale, più difficile, si passa dal si naturale al do».
Come ricorda il suo apprendistato?
«Bello, gli insegnanti lasciavano i sogni aperti agli studenti. Senza dirci: questo non lo puoi fare. Studiavo solfeggio il sabato e la domenica. L’unico grande dispiacere lo ebbi quando non mi presero al Conservatorio. Fui costretta ad andare in un collegio musicale: lì ebbi le basi per venire a perfezionarmi in Italia». Cosa le avevano detto al Conservatorio?
«Che non avevo abbastanza talento».
Come ricorda il suo debutto?
«Avevo 23 anni, ero a Parma, Il Barbiere di Siviglia per una platea di bambini. Il pubblico più difficile. Urlano, commentano. Però fu una bella esperienza». E il vero debutto?
«Quattro anni dopo a Erfurt in Germania, dove hanno oltre sessanta teatri, classificati tra A, B e C. Erfurt era B. Per La Traviata vennero i giornali tedeschi più importanti. Da lì ho cominciato a cantare in Austria e in Germania». Qual è lo spettacolo che l’ha fatta crescere, come
cantante e come donna?
«Nel 2009 Moïse et Pharaon, il mio debutto a Salisburgo. Riccardo Muti alle prove si soffermava su ogni dettaglio, la pronuncia, il punto esclamativo, quello interrogativo.
E poi l’anno prima, nel 2008, Maometto II al Rossini Opera Festival con Alberto Zedda».
Due titoli di Rossini: se lo avesse qui ora, davanti a lei, cosa gli chiederebbe?
«Gli chiederei qual è la sua opera preferita, forse Ermione, forse La donna del lago. E se era contento quando unirono in una unica raccolta tutta la sua produzione. Non credo avesse piacere a rendere noto che le sue stesse arie a volte le utilizzasse da un titolo
all’altro: la pratica degli autoimprestiti, per soddisfare le tante richieste dei teatri. Poi vorrei sapere qual è stata veramente la sua cantante preferita, visto che era così legato alle donne». Invece le opere di Rossini che lei ha nel cuore?
«Un giorno vorrei cantare Ermione, Armida, La donna del lago, Semiramide. C’è ancora tempo. Posso aspettare. Non credo invece che canterò ancora Guglielmo Tell. Matilde è un ruolo che ho interpretato abbastanza. E non è così grande. Preferisco sfide più importanti». È vero che lei balla per scaricarsi? «Sì, adoro valzer e tango».
Si esprime in un bell’italiano, ha studiato a Roma.
«Parlo sei lingue: russo, lettone, inglese, tedesco, italiano e francese. Lo svedese l’ho dimenticato. La più musicale? Difficile dirlo. L’italiano è più semplice e melodico, e non ha molte consonanti». Dove le ha imparate?
«Da ragazza facevo l’interprete. Seguivo dotte disquisizioni su medicina, sul riscaldamento delle città…». Catania?
«Ho registrato un cd, ho cantato nel gala a Villa Bellini. È la mia prima volta in un’opera al Teatro Bellini. Il pubblico è caloroso, conosce la musica».
Poliglotta
Parlo sei lingue, un tempo facevo l’interprete per temi riguardanti la medicina e l’urbanistica