Un teatro «benedetto» dalla lava
Il Bellini eccelle per l’acustica: merito anche della cassa di risonanza creata da un’antica colata
Vestito di blu, Vincenzo Bellini è reale tra le allegorie delle sue opere più celebri. «Norma», «La sonnambula», «I puritani» e «Il pirata» lo accompagnano tra gli affreschi di Ernesto Bellandi, in un gioco di specchi che decorano il foyer del Teatro Massimo di Catania. Mentre l’eleganza e il genio del Cigno catanese aleggiano per le sale del gioiello neobarocco progettato da Carlo Sada, inaugurato dopo una lunga epidemia di colera il 31 maggio 1890 con «Norma», il capolavoro di Bellini al quale era stato intitolato. Uno dei teatri lirici più belli in assoluto e «la sala migliore al mondo per la qualità del suono», come ricordato dal tenore Beniamino Gigli nelle sue memorie. Il merito è dell’architetto Sada, ma anche del luogo unico su cui sorge. Una colata lavica preistorica che crea una cassa di risonanza naturale in grado di riflettere il suono in maniera omogenea. Così come fa l’acqua del fiume Amenano, sepolto dall’eruzione dell’Etna del 1669, che dalle viscere della terra contribuisce all’acustica perfetta del Teatro, rendendo il suono avvolgente.
A ciò il teatro lirico etneo deve gran parte del prestigio di cui ha goduto da sempre e di cui gode ancora. Incastonato in un presente che vuole prestare fede al suo passato glorioso e alle promesse di quello che «solo se ha un passato può essere un futuro interessante di evoluzione», osserva Giovanni Cultrera di Montesano, pianista e sovraintendente del Teatro Massimo di Catania. «Il Teatro Vincenzo Bellini rappresenta l’identità, quella siciliana in particolare e quella umana in generale. Per Catania è tutto, ogni cosa che si tramanda e si evolve. Se funziona il teatro, funziona la città, alimentandola di nuova linfa e irrorando nelle sue arterie sangue artistico, perché è il suo organo vitale, il cuore. In teatro veniamo a vedere noi stessi evoluti nella nostra parte più bella».
A questa evoluzione ha contribuito chiunque abbia calcato le scene di questo magnifico edificio, la cui «età senza tempo affonda a 131 anni fa». Oltre un secolo, durante il quale il teatro ha ospitato molti dei maggiori interpreti del panorama musicale e teatrale internazionale, tra direttori d’orchestra, compositori — Mascagni, Stravinskij e Poulenc furono ospiti del Bellini per dirigere o assistere alle esecuzioni di loro opere — musicisti, registi e cantanti lirici. Un nome su tutti, l’immortale Maria Callas, indimenticabile Norma nel 1950. Fino ad arrivare al presente, dopo una grave crisi gestionale culminata nel triennio 2017-2019 e adesso in via di risoluzione dopo «l’intervento economico e strutturale della Regione Sicilia sui problemi che, da decenni, un teatro così grande, importante e complesso affronta», spiega Cultrera, sovraintendente dal 2019. «La Regione sta investendo in una triennalità di fondi artistici, destinati a fare in modo che il teatro possa programmare in anticipo, come è giusto che sia».
In questo nuovo quadro si inserisce la prima edizione del Bellininfest, un festival dedicato al Cigno catanese che ha finalmente una sua celebrazione unica e programmatica come fanno tutte le altre città natali dei grandi compositori. «Il diaframmare belliniano rappresenta l’evoluzione delle storie che si raccontano in teatro», osserva Cultrera, «storie che Bellini ha immortalato e musicato, diventando il caposaldo di quella melodia talmente pura, bella, cristallina, che tutto il mondo l’ha adottata, cercando di evolverne il concetto e sublimarlo».
Doveroso, dunque, onorare la memoria di un genio qual è stato Vincenzo Bellini «attraverso la conservazione di questo fuoco: è questa la visione». Una visione che nasce dalla irrinunciabilità della musica. Perché, dice Cultrera, «privare l’uomo della musica o dell’arte significa privare la libertà stessa del suo soggetto e oggetto, ovvero dell’uomo».
Nuova stagione
Inaugurato nel 1890, ora la Regione mira al rilancio dopo una grave crisi gestionale