«L’eredità di Juantorena e quei 15 punti della vita per la vittoria più inattesa»
Michieletto stella dell’Italia agli Europei: «Grazie a De Giorgi»
Un po’ muscoli un po’ cocco di mamma, il nome del momento è Alessandro Michieletto. Diciannove anni, schiacciatore dell’Italia di volley che dopo sedici anni torna a vincere una medaglia d’oro agli Europei. Nato a Desenzano del Garda e cresciuto a Castiglione delle Stiviere, dalle superiori si è trasferito a Trento (dove già lavorava papà Riccardo) per giocare a pallavolo: «I primi due anni ho dovuto pure studiare il tedesco, chiaramente beccando il debito». Due metri e cinque, mancino, impavido e con una maturità impressionante, Alessandro è il terzo di quattro figli: c’è Francesca «la prima a scegliere la pallavolo e a uscire di casa», Annalisa che «studia Beni culturali» e dopo di lui Andrea «che però preferisce il calcio». Per ora, verrebbe da dire perché con un esempio così magari si convince che la pallavolo è decisamente lo sport di famiglia.
Alessandro, suo padre Riccardo è stato un pallavolista negli anni 80-90. Oggi è il suo team manager a Trento, la società in cui gioca da quando ha iniziato e fino a quest’anno abitavate anche insieme. Non è un po’ troppo?
«I primi anni lo vedevo solo la sera, perché facevamo vite diverse, invece oggi l’unico vantaggio è chiedergli con quale tuta devo andare vestito (ride, ndr). Ma no, papà è uno bravo. Non ha mai interferito anzi, è quello che mi fa i complimenti per ultimo. Il mio bagher è merito suo».
Meno male, perché contro la Slovenia è stato spesso chiamato in causa in ricezione.
«Mi battevano addosso ma io nasco come libero, quindi facessero pure. È stata una partita difficile in attacco, ma quando siamo andati al tie break mi sono detto: sono quindici punti. Devono essere i quindici punti della vita. Ho dato tutto me stesso, due ace compresi».
Come è stato possibile che una squadra assemblata venti giorni fa, che univa i reduci di Tokyo ai giovani rimasti a lavorare in Italia, abbia ottenuto subito un risultato così importante?
«È stato inaspettato anche per noi, se vi consola. Ma ogni volta che ci davano per spacciati, noi crescevamo un po’ di più. La finale è stata la sfida più sofferta e quindi la più bella di tutto l’Europeo. Merito di Fefè De Giorgi e del suo nuovo staff».
Ecco, Fefè. I suoi time out («Vi vedo con ‘ste facce che non si possono guardare, è difficile, eh sta partita? Ma che vi aspettavate?») sono già passati alla storia.
«Lo conosco da poco ma quello che ha fatto lui in quanti sarebbero stati in grado? È l’inizio di un cammino».
Adesso vi esaltano come se fosse il 1989, questa fosse la prima vittoria della nuova Generazione di Fenomeni e lei il nuovo Lorenzo Bernardi.
«Non esageriamo e rimaniamo con i piedi per terra. Perché adesso dobbiamo confermarci e non è mica facile. Detto questo sono pieno d’orgoglio per la mia squadra».
La crescita
Ogni volta che ci davano per spacciati, noi crescevamo un po’ di più Finale sofferta e bella
Che gruppo è il vostro?
«Stiamo bene sia fuori che dentro al campo, abbiamo vent’anni, passiamo il tempo a prenderci in giro, a giocare a carte e ai videogiochi. C’è una sana rivalità tra di noi che rende il gruppo ancora più forte. Per esempio Giannelli sarà stato anche l’MVP dell’Europeo ma a Fifa non ha mai vinto una partita. È proprio scarso».
La sua carriera è tutta a Trento ed è esplosa nell’ultimo anno.
«A Trento c’è un ambiente di professionisti unici. Mi hanno fatto crescere sia come atleta che come uomo e ho preso consapevolezza delle mie possibilità. Giocare una finale di Champions aiuta, come disputare la Nations League quest’estate».
I Giochi di Tokyo non sono andati come speravate e dopo la partita persa con l’Argentina Osmany Juantorena le ha consegnato la sua maglietta battezzandola suo erede. D’altra parte lui era uno dei fenomeni dell’Itas Trentino quando lei era bambino.
«Dividere il campo con Osmany ai Giochi è stata un’emozione incredibile. Ricordo benissimo quando durante un loro allenamento mi ero messo da una parte a palleggiare contro il muro. Quando hanno finito lui è venuto lì e si è messo a palleggiare con me. Il mio numero di maglia a Trento, il 5, è un po’ perché è la mia data di nascita e un po’ perché è la maglia di Juantorena».
E se le dicessi che non avere in squadra Zaytsev (che sta recuperando da un’operazione) e Juantorena (che ha dato l’addio alla maglia azzurra) vi ha aiutato ad esprimervi al meglio?
«Risponderei che giocare con loro è stato un onore, sono due fuoriclasse e provo a trattenere più cose possibili che mi hanno insegnato».
L’esultanza finale ha mostrato che gioca con la canottiera sotto la maglietta, poi però la foto a letto con la coppa l’ha fatta a torso nudo. Dormito bene?
«E chi ha dormito?!».
Il gruppo
Siamo un gruppo che sta bene assieme anche fuori dal campo, giochiamo a carte e ai videogiochi