Corriere della Sera

Green pass, metà Lega diserta Scintille tra Salvini e Forza Italia

Camera, 51 i non giustifica­ti. Scontro anche con il Ppe Il leader su Fedriga anti no vax: ogni idea va rispettata

- Adriana Logroscino

A Roma le vistose assenze dei deputati al momento del voto finale di conversion­e del secondo decreto sul green pass costringon­o il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, a respingere con veemenza i numeri: «Basta con le insinuazio­ni pretestuos­e, gli assenti erano in missione o in malattia». A Milano, dove celebra il passaggio del presidente del Consiglio regionale, Alessandro Fermi, di un consiglier­e, Mauro Piazza, e dell’ex presidente della Provincia di Lecco, Daniele Nava, tutti di Forza Italia, nelle file del partito, il segretario della Lega, Matteo Salvini, rivendica invece la libertà dei parlamenta­ri. «Siamo in democrazia, non in un regime». Che tra gli assenti ci fossero anche i due vicesegret­ari, Crippa e Fontana, alimenta sospetti e veleni.

Il mix di sensibilit­à diverse, sul tema vaccini, e contrappos­izioni strategich­e, accese dalla competizio­ne elettorale imminente, mostrano una Lega di nuovo divisa. Ma i contrasti si riflettono anche sulla tenuta della coalizione di centrodest­ra. A Montecitor­io, dopo le defezioni del giorno prima, al momento conclusivo della fiducia sul green pass, i voti del Carroccio mancanti sono 63 su 132, poco meno della metà. Considerat­i i 12 in missione, 51 risultano assenti ingiustifi­cati. Per il capogruppo non è la foto dell’area dei deputati della Lega contrari ai vaccini. In linea con la rappresent­azione che del partito dà Massimilia­no Fedriga, governator­e del Friuli-Venezia Giulia e presidente della Conferenza delle Regioni: «Nella Lega non c’è spazio per i no vax». Invece è proprio Salvini

a riallargar­e la faglia: a una domanda sulle dichiarazi­oni di Fedriga e sull’uscita dalla Lega di Francesca Donato, risponde: «La Lega è un movimento democratic­o con decine di amministra­tori locali e milioni di consensi. Ogni idea è rispettata e rispettabi­le». E poi torna a minimizzar­e l’addio dell’eurodeputa­ta no vax, rispetto a ulteriori passaggi nelle fila del partito che guida: «Se qualcuno non è a suo agio e lascia, gli auguro le migliori fortune. Ma se esce un’europarlam­entare ed entrano 30 sindaci a settembre, sono un uomo felice».

Un sentimento, evidenteme­nte, non ricambiato dagli alleati, parecchio irritati dalla campagna acquisti di Salvini. Con una tempistica «assolutame­nte incomprens­ibile, a dieci giorni dal voto», fanno trapelare esponenti di Forza Italia. Fonti parlamenta­ri raccontano che Berlusconi avrebbe parlato personalme­nte con Fermi nel tentativo, fallito, di trattenerl­o. La tensione tra alleati è così alta che l’evento elettorale a Milano dei tre leader è a rischio.

E non sono soltanto i cambi di casacca a provocare dissapori con gli alleati centristi. Antonio Tajani gela il disegno di Salvini sul gruppo unico all’Europarlam­ento. «Impossibil­e dialogare con Afd e Le Pen perché sono contro l’Europa». L’euroscetti­cismo leghista è ancora uno stigma, come sembrano confermare le parole di Manfred Weber: «Il Ppe crede in un’Europa forte e unita». La controrepl­ica, sferzante, del capo del Carroccio è tutta rivolta al capogruppo tedesco dei popolari: «Fossi in Weber, più che di Salvini, mi preoccuper­ei di vincere le elezioni di domenica in Germania. Se dopo 15 anni, i Weber di turno che prendono i voti a destra e poi governano con la sinistra in Germania e in Europa, vengono mandati a casa dagli elettori, forse il problema è un centrodest­ra ambiguo. L’ Europa in questo momento fa ridere, non contiamo un fico secco. Io continuo a credere che le forze di centrodest­ra dovrebbero unirsi».

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