Matilda, Signor Volpe, la Fabbrica di cioccolato: Netflix fa incetta di Dahl
Acquistati i diritti delle fiabe più famose per 580 milioni
Le fiabe sono così importanti nello sviluppo del bambino, ha scritto lo psicologo Bruno Bettelheim, perché attraverso le loro vicende non realistiche regalano ai piccoli importanti informazioni non sul mondo esterno, ma sul processo interiore delle loro emozioni. In questo senso, le fiabe appartengono a tutti i bambini del mondo: raccontano le loro paure, i loro sogni, li accompagnano nel passaggio attraverso l’infanzia.
Nel 1976 il professor Bettelheim chiamò questo meccanismo, nel suo libro più famoso, «Il mondo incantato». Nel pragmatico 2021 però il mondo incantato può tranquillamente essere ribattezzato «contenuti». Il mitico «content» con il quale i giganti dello streaming si contendono la nostra (sempre più flebile) attenzione.
Lo scrittore inglese Roald Dahl, gigante della letteratura capace di vendere 250 milioni di copie dei suoi libri, ha creato uno dei mondi incantati più amati dai bambini: da «Matilda» a «James e la pesca gigante», da «Charlie e la fabbrica di cioccolato» a «Furbo il signor Volpe», i suoi libri sono parte integrante delle letture dei bambini.
Adesso però il mondo di Dahl è diventato un’arma delle infinite «streaming wars» tra i colossi globali dell’intrattenimento. Netflix ha acquisito (per «poco più di mezzo miliardo di sterline» secondo Sky inglese, circa 580 milioni di euro) i diritti sulla sua opera omnia: mondo incantato ma soprattutto serbatoio potenzialmente infinito di film, telefilm, cortometraggi, animazione e «live action».
Disney+ e Amazon e il resto della concorrenza devono ora rassegnarsi all’idea che Matilda, James, Charlie, il signor Volpe e tutte le altre invenzioni di Dahl sono ora di proprietà di Netflix, e l’«universo Dahl» diventa come «l’universo Marvel» e quello DC dei supereroi, annualmente trasformato da Hollywood in film con annesso merchandising di giocattoli.
Roald Dahl era un uomo complicato che ebbe una vita complicata e una carriera strana come la sua bibliografia: era autore di storie per adulti di discreto successo — storie tra il macabro e il bizzarro che venivano pubblicate su riviste come il New Yorker e Playboy — ma era solito raccontare alle figlie stranissime fiabe per bambini. Una di queste parlava di un bambino rimasto orfano (i genitori erano stati mangiati da un rinoceronte), adottato da due zie mostruose che lo torturano, e che alla fine scappa, uccidendole, a cavallo di una pesca gigante.
Terrificante? Sì, al punto che il libro venne pubblicato negli Stati Uniti nel 1961, ma Dahl dovette aspettare fino al 1967 prima che un editore britannico si prendesse il rischio di farlo uscire in patria.
Ultracinquantenne, diventò autore di bestseller, e il mondo scoprì i suoi personaggi spaventosi ma proprio per questo così in sintonia con le emozioni dei bambini (è morto nel 1990, a 74 anni). Perché Dahl aveva capito che i bambini sognano, ma fanno anche tanti incubi — e le sue storie parlano al loro senso del fantastico — i bambini capiscono che sono «non realistiche» ma non per questo sono «non vere», sempre nelle parole di Bettelheim.
L’investimento di Netflix, massiccio, è però commercialmente sensato: la concorrenza è formidabile, con Disney+ a quota 116 milioni di abbonati e Hbo Max (di AT&T) a 67 milioni di abbonati in tutto il mondo alla fine di giugno lanciati all’inseguimento di Netflix che rimane il numero uno dello streaming con oltre 209 milioni di iscritti al servizio. Niente di meglio del catalogo di Dahl — tutte le storie, per bambini e per adulti — per confermare la leadership in questo mercato enorme, e in questo senso quasi 600 milioni di euro sono una cifra sensata.
Agli osservatori più attenti non era sfuggita, l’anno scorso, l’improvvisa dichiarazione degli eredi che si scusavano, trent’anni dopo la morte di Dahl, per l’antisemitismo (obiettivamente indifendibile) dello scrittore: scelta sensata di pubbliche relazioni e preludio, si disse, a qualche maxi-contratto in arrivo.