Corriere della Sera

ADESSO LE VIE DEL SIGNORE PASSANO DAI SOCIAL NETWORK

Religione e tecnologia Negli Stati Uniti, Facebook ha già proposto accordi ad alcune comunità e ha organizzat­o un meeting virtuale di credenti. Ma i dubbi non mancano

- di Paolo Benanti e Sebastiano Maffettone

Gli utenti abituali di Facebook sono circa tre miliardi. I cristiani nel mondo circa due miliardi e trecento milioni. I numeri contano e gli addetti a mergers and aquisition­s dei due gruppi sono in fibrillazi­one. Sempre più l’idea che i social network possano entrare nel mondo delle comunità di fede si fa strada. E non riguarda solo i cristiani, come è ovvio, ma, in maniera diversa, caso per caso tutte le religioni, dagli islamici ai buddisti e così via. D’altra parte, se i social sono indispensa­bili per vincere una campagna elettorale e necessari per vendere qualsiasi prodotto commercial­e, come non pensare che possano servire anche per rendere più semplice ed efficace l’accostarsi dell’essere umano a dio? L’interesse e la curiosità di molti rappresent­anti del mondo religioso sono comprensib­ili. Pensate solo alla raccolta fondi per farvene un’idea. Ma ovviamente non è solo una questione economica. Si tratta di contatti. E, come la pandemia ci ha mostrato, quando i contatti fisici sono difficili non resta che tentare di raggiunger­e gli altri online. E, da questo punto di vista, nessuno meglio di un social come Fb può raggiunger­e risultati in questo ambito. I contratti, però, si fanno in due e ci deve essere anche un interesse di Fb per potere andare avanti in questa direzione. Interesse che probabilme­nte consiste nel creare e cementare nuovi spazi di fiducia. Scandali e sussulti vari fanno di tanto in tanto tremare la credibilit­à dei social e probabilme­nte niente può rinsaldare i legami fiduciari meglio di un ancoraggio del network alle comunità di fede. Queste ultime sono in ultima analisi depositi di capitale umano e sociale. Su queste premesse, non è strano che pezzi grossi di Fb abbiano lanciato una campagna di fidelizzaz­ione (si può dire così?) esplicitam­ente diretta a singoli gruppi religiosi cristiani ma indirettam­ente rivolta a tutte le comunità religiose. Fatto è che dal 2017 Fb ha fondato il suo team di partnershi­p religiose e ha cominciato a stringere rapporti con gruppi religiosi, prevalente­mente cristiani riformati. Dopo il lockdown, in particolar­e, Fb ha accostato diversi tra questi gruppi dicendo sostanzial­mente «Noi vogliamo essere il vostro dipartimen­to dell’It e il punto di riferiment­o per la transizion­e digitale». E nei mesi scorsi ha organizzat­o un meeting virtuale di credenti, un vero e proprio summit religioso. Come risposta, alcune chiese riformate statuniten­si hanno deciso di provare due strumenti di Facebook: abbonament­i in cui gli utenti pagano 9,99 dollari al mese e ricevono contenuti esclusivi, come i messaggi del vescovo; la possibilit­à per i fedeli che guardano i servizi online di inviare donazioni in tempo reale.

A prima vista, si tratta di una strategia win win. Ci guadagnano qualcosa le comunità di fede e i social network, come si è detto, ma anche la società nel suo complesso può trovare un suo tornaconto. Come scrisse qualche anno fa in un suo libro lo scienziato politico Robert Putnam, nella media i cittadini religiosi sono più ligi. Rispettano le leggi e l’ordine sociale meglio del resto della popolazion­e. Per cui, diffondere il verbo delle varie fedi sui social può aiutare a rendere la comunità nazionale più pacifica e coesa.

E tuttavia qualche dubbio sorge spontaneo. Non si può pensare che la religione sia una cosa troppo seria per affidarla ai social? Come sappiamo, questi ultimi non sono generosi dispensato­ri di opere di bene ma piuttosto imprendito­ri dediti alla ricerca del profitto. E da questo punto di vista l’imperativo della spirituali­tà sembra cozzare con quello del profitto. Va bene che le vie del Signore sono infinite, e d’accordo che finora i gruppi riformati non hanno consentito la pubblicità sui siti che adoperano, ma è difficile immaginare una fede apparentat­a con imprese guidate da agguerriti consigli di amministra­zione e laceranti trimestral­i. Il tempio non sempre può andare d’accordo coi mercanti, come sappiamo. Ma c’è di più. Tutto sommato, la fede si basa sulla mistica e il vissuto religioso è (anche) un’esperienza interiore. Davvero complicato vederla sparata sui social. C’è anche, in proposito, una questione di privatezza. Se ci si rivolge all’Altissimo, un po’ di intimità fa parte del rapporto. E non c’è bisogno di immaginare un confession­ale coram populo per comprender­lo.

Insomma, se è difficile (come abbiamo sostenuto in un precedente articolo) immaginare una politica senza i corpi fisici delle persone è anche impervio pensare a una religione prevalente­mente online. MacLuhan ci fece sapere che il mezzo è il messaggio. Vorrà dire che prima o poi finiremo col credere che «in social we trust?».

Relazioni Dal 2017 Fb ha cominciato a stringere rapporti prevalente­mente con i cristiani riformati

Prove Alcune chiese sperimenta­no abbonament­i in cui gli utenti possono ricevere i messaggi del vescovo

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