Corriere della Sera

Salgado, Amazzonia segreta

Per sette anni il fotografo ha «ritratto» la foresta Quelle immagini diventano una mostra al Maxxi

- di Luca Zanini

«Abbiamo avuto la fortuna di poter convivere con la nostra preistoria». Lui la riassume così, con una battuta, ma l’esperienza alle spalle dell’ultimo libro (edizioni Taschen) e dell’ultima mostra di Sebastião Salgado — Amazônia, in programma al Maxxi di Roma dal 1° ottobre al 13 febbraio — è molto di più. È il frutto di un’immersione totale nella foresta amazzonica: Salgado ha viaggiato per 7 anni, insieme alla moglie Lélia Wanick Salgado, in territori spesso inesplorat­i; realizzand­o 48 reportage. Ci sono voluti una équipe di 12 persone (dal conducente di piroga, agli interpreti, al cuoco) e l’aiuto dell’esercito brasiliano per arrivare laddove altri esplorator­i non erano mai giunti. Ed è stato l’ultimo grande viaggio del grande fotografo: «Ho quasi 78 anni, sono vecchio», dice. Ma pesa anche il suo personale scontro con il presidente brasiliano Bolsonaro: «Non avrò mai più il permesso di andarci».

Un viaggio che lo porta a dire: «Dietro gli incendi e l’allarme per la deforestaz­ione, l’Amazzonia è un paradiso che possiamo ancora salvare». Non diamo per persa la foresta, dunque, perché «non è soltanto quella che vedete bruciare (il 18%) nei notiziari: l’82 per cento del suo territorio è vivo, reale». Il cuore vero dell’Amazzonia, assicura Salgado — che iniziò a esplorarla nel 1980 —, è ancora intatto: «Ci siamo arrivati con viaggi lunghissim­i, cambiando imbarcazio­ni, sempre più piccole: fino a spostarci su piroghe». E avverte: «Dobbiamo essere tutti noi a salvare questo paradiso in Terra, cambiando i nostri modi di consumare». La sua protezione, oggi, è un affare di tutti, «possiamo e dobbiamo fermare deforestaz­ione, agricoltur­a intrusiva, costruzion­e di nuove strade».

Dal suo racconto emerge il senso di un lavoro non facile, anche se supportato da grandi risorse. Ogni volta, prima di partire per un reportage, c’erano le trattative. Sì perché per poter visitare i popoli «incontatta­ti» — i gruppi etnici che non hanno mai avuto contatti o ne hanno soltanto di sporadici con gli stranieri sono ancora più di 500 — è necessario ottenere l’autorizzaz­ione preventiva dei capi tribù attraverso un agente del Funai, l’Associazio­ne Nazionale Indiana del Brasile che sovrintend­e tutti i contatti tra gli esterni e gli indigeni. «Senza il loro permesso non si può entrare. Per arrivare in fondo alla foresta abbiamo impiegato settimane. Le distanze sono enormi, la superficie della sola Amazzonia brasiliana è circa 17 volte quella dell’Italia». Ma poi gli incontri sono andati benissimo, son ostati straordina­ri, come testimonia­no le nuove foto dell’ economista esplorator­e.

Quella che aprirà al Museo na«fiumi zionale delle arti del XXI secolo, dunque, è un’esposizion­e dedicata non solo alla natura ma agli uomini della foresta: «Non abbiamo mai avuto problemi con loro — assicura Salgado —, gli indios sono persone di pace, le uniche aggression­i si registrano a volte da parte di quelli che sono a contatto con le popolazion­i bianche: siamo noi ad aver insegnato loro la violenza». Tra gli indios non ci sono litigi pericolosi: le liti si risolvono sedendosi in cerchio con la tribù, «amano parlare anche per 2-3 ore e alla fine il problema è risolto». Le loro feste «sono incredibil­i» ed è «davvero bello vivere con loro». Ci sono donne, spiega Salgado, «con 4 o 5 mariti: uno per la caccia, uno per la pesca, uno che bada ai bambini e li fa giocare...».

Quanto all’equilibrio ambientale, nelle aree più remote dell’Amazzonia sembra resistere ancora all’attacco dell’uomo «evoluto». «Abbiamo raggiunto le montagne più lontane, catene sconosciut­e. Abbiamo fotografat­o i sistemi idrici, l’acqua in ogni sua forma: ruscelli, torrenti, fiumi, nuvole», ricorda il fotografo rivedendo le immagini che lui stesso ha fissato su carta. «L’Amazzonia è il paradiso in Terra», ribadisce, con le sue montagne sconosciut­e, i suoi volanti». L’umidità che ogni albero della foresta riesce a far evaporare (fino a mille litri d’acqua al giorno) «è alla base del ciclo dell’acqua nel Pianeta, forma ruscelli e fiumi, forma i cumulonemb­i e altre incredibil­i nuvole (immortalat­e dalle sue foto nel libro, ndr) e parte di quella umidità arriva anche in Europa».

La mostra è divisa in due parti. Nella prima i grandi pannelli con le foto dal cuore della foresta aprono squarci su un mondo «preistoric­o», come lo ha definito il fotografo, che lasciano senza fiato: è la sezione dedicata all’ambientazi­one paesaggist­ica. «Con Salgado ogni volta è una scommessa diversa — nota Roberto Koch, editore di Contrasto e presidente della Fondazione Forma per la Fotografia — e siamo ormai alla sua quarta mostra a Roma. Ogni volta c’è qualcosa che ci sorprende e incanta nel suo incredibil­e lavoro». Nella seconda parte dell’esposizion­e entriamo in quello che era un tempo definito «inferno verde» per conoscere da dentro la foresta e le sue popolazion­i indigene.

«Con questa mostra che ci conduce in un viaggio nella bellezza, nella forza e nella fragilità di un ambiente unico al mondo, il Maxxi vuole contribuir­e a diffondere il messaggio di Salgado: questo tesoro umano, naturale e culturale va protetto a ogni costo — sottolinea Giovanna Melandri, presidente di Fondazione Maxxi, che per oltre un anno ha lavorato a questo progetto —. Anche perché i suoi custodi, le popolazion­i che lo abitano, rischiano l’estinzione. Salgado ci ha abituato a sentimenti forti. I suoi occhi hanno forgiato la nostra coscienza, le sue immagini ci fanno indignare, ammutolire ma anche riscoprire la meraviglia».

«Abbiamo avuto la fortuna di poter convivere con la nostra preistoria»

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