Albert Watson, arte essenziale Dodici volti per catturare l’anima
All’Audi City Lab fino al 27 settembre una selezione di primissimi piani del celebre fotografo
Dodici ritratti. David Bowie, Steve Jobs, Kate Moss, Andy Warhol, Mick Jagger. L’Audi City Lab di Milano ospita, fino al 27 settembre, una piccola (gli archivi del suo studio a Manhattan sono stipati di milioni di immagini e negativi) ma affascinante selezione dell’universo di Albert Watson, il fotografo scozzese (Edimburgo, 1942) universalmente riconosciuto come uno dei maestri della fotografia di moda con le sue oltre 100 copertine di «Vogue» e con le sue campagne pubblicitarie realizzate per Prada, Gap, Levi’s, Revlon, Chanel.
Un universo che lo stesso Watson racconterà oggi alle 18.30, sempre all’Audio City Lab, in un confronto con Luca Guadagnino e Alessia Claviano. E la presenza del regista di Chiamami col tuo nome non è certo casuale visto che Watson ha firmato, tra l’altro, i poster di film cult come Kill Bill di Tarantino e Memorie di una geisha di Marshall. La esposizione milanese si concentra in particolare su quei ritratti di Watson (che nel suo percorso ha fotografato Keith Richards, Clint Eastwood, Barack Obama) che sono diventati delle vere e proprie icone. Un’idea di ritratto felicemente sospeso tra creatività e virtuosismo tecnico ben presente anche nelle campagne di moda di Watson, dove, da Naomi Campbell a una giovanissima Nadja Auermann fino a Cindy Crawford, il fotografo riesce a definire con estrema efficacia (nel suo tipico bianco/nero) la personalità delle donne. Lo stesso cocktail di creatività e virtuosismo si ritrova anche nei suoi paesaggi che non sono mai «semplici» sfondi di campagne pubblicitarie, ma ne caratterizzano il «sapore», diventandone addirittura protagonisti: dalla Scozia al deserto del New Mexico, da Los Angeles a Napoli.
All’interno della installazione immersiva firmata dal Marcel Wanders studio (con la luce che diventa forma di energia visibile ma anche fonte di comunicazione e connessione) trova dunque spazio Albert Watson: Twelve, a glimpse into the progressive vision of one of the most preeminent photographers of all time. Mostra che vuole essere al tempo stesso testimonianza di innovazione, cultura e ispirazione nonché un modo per raccontare la fotografia secondo Watson, una fotografia fatta di sorprendenti giochi di luce e composizioni inaspettate.
Le immagini iconiche che Watson ha creato nel corso della sua carriera rappresentano perfettamente le potenzialità espressive che nascono dall’incontro tra progresso e creatività, mescolando arte e moda. Grazie alla sua estrosità visionaria, la tecnica fotografica per Watson è diventata uno strumento per scoprire nuove possibilità creative. E quelle dodici fotografie ora in mostra a Milano rappresentano la sintesi del suo linguaggio visuale.
Nato e cresciuto a Edimburgo, Watson ha studiato graphic design al Duncan of Jordanstone College of Art and Design di Dundee e cinema e televisione al Royal College of Art di Londra. Sebbene cieco da un occhio sin dalla nascita, Albert ha subito scelto la fotografia come parte del
Maestro dei servizi di moda, il primo ritratto di celebrities risale al 1973: Alfred Hitchcock
Il suo linguaggio esplora le possibilità creative, gioca con la luce, sorprende
suo percorso formativo. Sarà nel 1970, quando Albert si trasferisce negli Stati Uniti con la moglie Elizabeth che aveva trovato lavoro a Los Angeles come insegnante di scuola elementare, che Watson comincerà a scattare foto. Sempre nel 1970, l’incontro con il direttore artistico della Max Factor, che gli avrebbe offerto la prima «sessione di prova» di cui l’azienda avrebbe poi acquistato due scatti.
Da allora lo stile distintivo di Watson (uno stile che nonostante la grande varietà dei soggetti ha sempre conservato un alto grado di riconoscibilità) avrebbe conquistato e mantenuto viva l’attenzione di riviste come «Mademoiselle», «GQ», «Vogue». Sarà «Harper’s Bazaar» a commissionargli nel 1973 il primo ritratto di celebrity, Alfred Hitchcock. «Se hai l’occasione di scattare una foto del genere — dirà poi Watson —, devi dimostrare di essere all’altezza della situazione e fare del tuo meglio». I dodici ritratti dell’Audi City Lab parlano chiaro: Albert ha passato l’esame.