Corriere della Sera

Violetta sensuale nell’allestimen­to hollywoodi­ano

- di Gian Mario Benzing

Minigonne di lamé, frangette e proiezioni psichedeli­che, torsi nudi alla John Mayall… La regia di Davide Livermore sposta La traviata di Verdi, in scena al Maggio fino al 5 ottobre, nel delirio cromatico dei primi anni ’70. Violetta luccicante d’oro e d’argento, Alfredo in completino melanzana. Se cercava un’epoca per acuire il contrasto convenzion­e/trasgressi­one insito nell’opera, Livermore ha trovato molto di più. Lo sgargiante amarcord, curato nei dettagli con splendore hollywoodi­ano, dai lampadari alle coiffure (grande il lavoro della costumista Mariana Fracasso, con le scene di Giò Forma), rende questa tragedia d’amore e «sagrifizio» molto vicina a noi. E perciò più sferzante.

Violetta vive un tempo che molti spettatori hanno vissuto. Nel disco-party di Flora si balla una cosa tra lo shake e il geghegè. Ancor più commuove, così, la direzione dolcissima e avvolgente di Zubin Mehta, la fusione dei suoi timbri, i tempi comodi che si stringono dove la melodia ci morde il cuore. Nadine Sierra, Violetta sensuale, ma migliore nel secondo atto, ha note centrali piene e fascinose, e il suo mi bemolle acuto è un lampo ribelle. Si muove con la naturalezz­a d’una ragazza dei nostri giorni: come si siede, come terge le lacrime, come abbraccia Alfredo, Francesco Meli (sempre nobile il suo sfumare le «seconde» frasi, se non diventa così prevedibil­e). Come reagisce a Leo Nucci, Germont «cattivo», degli acuti potenti e plumbei. Sierra fatica a spegnere la propria moderna vitalità persino nel finale: addio shake, Violetta muore (quasi) qui tra noi.

«La traviata» di Giuseppe Verdi 8,5 ●●●●●●●●●●

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