Una storia di re, adulteri e censure
Il libretto originale (il regicidio svedese) non passò. Ma ora rivive con Roberto Abbado
Giù la maschera. Sotto il cappuccio del domino fatale non si cela Riccardo, governatore di Boston, ma Gustavo III, re di Svezia. Così voleva Verdi che, prendendo spunto da un tragico quanto spettacolare fatto di cronaca, l’assassinio del re svedese nel 1792 durante un bal masqué nel teatro da lui stesso fatto costruire, compose uno dei suoi titoli più celebri e travagliati. Perché, prima di approdare in scena come Un ballo in maschera, l’opera dovette passare le forche caudine di due censure, borbonica e papalina, cambiare titolo, ambientazione, nomi dei personaggi. E traslocare fuori da un’Europa polveriera di rivoluzioni e attentati.
«Dalla corte di Stoccolma a una Boston coloniale, così che a venir pugnalato non fosse più un sovrano ma un governatore» spiega Roberto Abbado che il 24 al Regio, sul podio della Toscanini, aprirà il Festival Verdi con un nuovo Ballo, allestimento curato da Jacopo Spirei su progetto dello scomparso Graham Vick, libretto originario su sfondo svedese.
«Portare in scena un regicidio, con ancora gli echi della Rivoluzione francese e l’attentato a Napoleone III appena avvenuto, non era pensabile — prosegue il direttore musicale del festival parmense —. Inevitabile che la censura, in vista del debutto al San Carlo di Napoli, si facesse viva. Le richieste furono tante e tali che si finì in tribunale e Verdi se ne andò sbattendo la porta. Anche perché, vista la sua fama, di porte spalancate ne aveva tante. Provocatoriamente decise per la più vicina, Roma. Rispetto ai tagli pretesi dai borbonici — no all’indovina che tratta con il Cielo, no all’adulterio, no al sorteggio del pugnalatore — i papalini misero Verdi a un bivio: se voleva che passasse il resto doveva spostare l’azione fuori Europa. «Molto lontano, in America o in Caucaso» gli consigliò Antonio Vasselli, amico e avvocato. Verdi scelse l’America. «Altro continente, altro secolo, cent’anni prima del fattaccio svedese».
Così, il 17 febbraio 1859, il Ballo debuttò a Roma, epurato e debitamente forestiero. «E ora, dopo un secolo e mezzo, ecco finalmente il BalloGustavo III, con il libretto originale scritto 11 mesi prima dell’andata in scena, recuperato negli archivi vaticani e inserito in partitura dalla musicologa Ilaria Narici. Uguale l’orchestrazione, qualche cambiamento nel testo che risulta più aspro e violento rispetto al Ballo». Tra le parole tagliate, «adultera», ai tempi impronunciabile.
Mentre pronunciabilissima era la sola frase degna di censura, «l’immondo sangue dei negri» riferita a Ulrica, qui chiamata solo «la sibilla».
I papalini costrinsero Verdi a spostare l’azione in America, lontano dall’Europa
Riportare la storia là dove si è svolta metterà in risalto la complessa figura di Gustavo III. «Un despota illuminato, amante della musica e delle arti. Costretto a sposarsi giovanissimo, in realtà omosessuale, i suoi tradimenti non furono con donne ma con uomini. Di tutto questo non c’è traccia nel libretto, ma Vick mi aveva anticipato: la vera relazione proibita di Gustavo non è con Amelia ma con il conte di Anckastrom».
E dopo il Ballo svedese, Abbado tornerà sul podio, stavolta con l’orchestra del Comunale di Bologna e il Coro del Regio di Parma per un concerto verdiano che accosta brani noti e insoliti tra cui, in prima mondiale, il Divertissement per il Nabuchodonosor francese per Bruxelles. «Dai famosi bauli di Sant’Agata spuntano meraviglie inedite come questi Ballabili, ascoltabili per la prima volta dal 1848». Altre rarità, le preziose Romanze da salotto eseguite in recital dalla soprano Lisette Oropesa. Un mondo parallelo a quello fastoso del melodramma, creato per il piacere di un ascolto intimo, domestico, tutto da riscoprire.