Voleva «Il piccolo chimico» oggi combatte il carcinoma
Elisabetta Grillo e gli studi contro il cancro all’ovaio
Il kit del «Piccolo chimico» che tanto le piaceva non è mai arrivato in regalo. La delusione non le ha impedito di realizzare l’obiettivo che insegue da quando era bambina: diventare scienziata. Elisabetta Grillo oggi lavora al dipartimento di Medicina molecolare e traslazionale dell’Università degli Studi di Brescia e studia nuove terapie per curare il cancro dell’ovaio.
Partiamo da quel sogno di bambina.
«La mia mamma è laureata in Chimica e io volevo imitarla. Per questo speravo che mi regalassero il “Piccolo chimico”. Con quel desiderio nel cuore, le scelte per il mio futuro sono state facili. Mi sono laureata nel 2010 in Biotecnologie Mediche a Brescia, dove i miei genitori si sono trasferiti dalla Sicilia per lavoro».
E all’università ha scelto di dedicarsi alla ricerca contro il cancro.
«Sono rimasta affascinata dal docente di Patologia generale, ho deciso di fare tirocinio nel suo laboratorio e così ho cominciato il percorso».
È stata anche all’estero?
«Ho fatto esperienze in Svizzera e in Belgio, fondamentali per la mia carriera. Mi hanno permesso di uscire dalla mia comfort zone e collaborare con gruppi di ricerca con competenze complementari. Nel 2017 sono ritornata in Italia. Un po’ per amore, un po’ perché avevo intravisto nuove opportunità a Brescia. Sono felice di essere tornata».
Qual è il cuore della sua attività?
«Da subito mi sono occupata della proteina Vegfr2: studiavo il suo ruolo nei vasi sanguigni che irrorano un tumore. Poi è emerso che questa molecola è presente anche nelle cellule tumorali».
Con quali effetti?
«Guardando le sue caratteristiche biologiche, non sorprende che promuova la crescita di molti tipi di tumore. Infatti esistono farmaci che ne bloccano l’azione. Tuttavia in alcuni contesti questo recettore sembra svolgere un ruolo contrario, protettivo. Cominciano a emergere i meccanismi con cui ciò avviene, ma si sa ancora poco. E c’è un altro aspetto: le terapie anti-Vegfr2 possono aumentare il rischio di metastasi».
Il suo gruppo di ricerca è andato oltre.
«Nel team, tutto al femminile, ci siamo chieste se la molecola ha questo effetto anche nel carcinoma ovarico sieroso di alto grado, il tipo di tumore dell’ovaio più frequente e aggressivo. È ciò che stiamo approfondendo nell’attuale progetto, finanziato da Fondazione Umberto Veronesi col contributo di Lactacyd. Capirlo è importantissimo per personalizzare la terapia».
Perché questo tumore?
«Perché, tra tutti i tumori femminili, quello dell’ovaio è molto insidioso: non dà sintomi specifici. E sono stati fatti pochi progressi per lo screening e la terapia. Spesso la malattia viene diagnosticata tardi e le cure sono poco efficaci. Visite ginecologiche e controlli ecografici periodici sono cruciali per una diagnosi precoce. Inoltre alcuni nostri risultati suggeriscono che la molecola Vegfr2 possa svolgere un ruolo protettivo nel tumore dell’ovaio. Se la ricerca confermerà l’ipotesi e capiremo come ciò avviene, ci potranno essere ripercussioni sugli approcci terapeutici».
Ora che ha 35 anni, qual è il suo sogno?
«Dare alle donne strumenti efficaci per combattere il cancro dell’ovaio, come già succede per altri tumori».
Dopo esperienze in Svizzera e in Belgio è tornata in Italia. Oggi lavora a Brescia