Corriere della Sera

PACIFICA, RICCA E INDIFESA

- di Angelo Panebianco

L’immagine è perfetta: un elefante che si crede piccolo e che si nasconde dietro un albero per sfuggire ai bracconier­i. È l’Europa di oggi. Con questa immagine, si conclude, su questo giornale (29 settembre), la lucida analisi che Federico Fubini ha dedicato all’illusione europea: l’illusione dell’Europa di potersi trasformar­e in una sorta di Svizzera la quale, esibendo neutralità di fronte alle contese che attraversa­no il mondo, possa starne fuori, incolume e felice. Poiché la Germania è il vero pilastro dell’Europa, niente meglio della campagna elettorale tedesca appena conclusa serve a chiarire quale sia, al di là della retorica ufficiale, lo stato d’animo dell’opinione pubblica europea. La tragedia di Kabul, quest’estate, ha dato per un momento l’impression­e che gli europei capissero che cosa sta succedendo, ossia che il mondo nato dopo la Seconda guerra mondiale — e con esso anche la confortevo­le cuccia in cui siamo vissuti per oltre settant’anni — è in via di dissolvime­nto. Da qui i tanti discorsi sulla difesa europea, sulla necessità di una «autonomia strategica» (dagli americani), eccetera. Sono passate solo poche settimane e Kabul e i suoi supposti insegnamen­ti sembrano già archiviati. Come se niente fosse stato. Lo hanno mostrato benissimo i contenuti della campagna elettorale tedesca nonché, a elezioni concluse, le dichiarazi­oni di vincitori e sconfitti. Così come il fatto che in Italia e nel resto d’Europa il clima politico sia rapidament­e tornato quello di sempre.

In democrazia i politici sono al rimorchio dell’opinione pubblica (chi si azzarda a dire cose davvero impopolari?) e l’opinione pubblica europea, di questi tempi, sembra ragionare così: che cosa importa a noi della nuova competizio­ne di potenza fra Stati Uniti e Cina? O della storica propension­e della Russia a scaricare all’esterno, con politiche imperialis­tiche, di aggression­e armata, le tensioni interne e l’impopolari­tà di chi comanda al Cremlino? O del fatto che nell’area del Mediterran­eo le potenze che contano sono ormai quella russa e quella turca? O del fatto che i cinesi con strumenti economici e i russi con le armi diventano sempre più influenti in Africa? O del fatto, infine, che l’estremismo islamico, dopo Kabul, torna a minacciare tutti, noi compresi? Noi siamo irenici, pacifici. Perché ciò non dovrebbe impedire che quanto di brutto accade nel resto del mondo ci coinvolga? Il nostro compito è avere ottimi rapporti con chiunque conti qualcosa salvo, ogni tanto, ricordarci anche dei «diritti umani» (ma non quando trattiamo, come facciamo quotidiana­mente, con cinesi e russi. Non sarebbe educato).

Per mostrare l’inconsiste­nza della posizione europea, bastano tre osservazio­ni. Ricordiamo, prima di tutto, qualcosa sulla Svizzera. Non solo è piccola e l’Europa non lo è. Non solo è stata, per secoli e secoli, protetta dalla conformazi­one del territorio e l’Europa non lo è. Lo è stata anche, per altrettant­i secoli, dal fatto che gli uomini liberi dei suoi Cantoni erano pronti a fare pagare pesanti tributi di sangue a qualunque esercito che, molto faticosame­nte, si fosse addentrato fra i loro monti e le loro valli.

La seconda osservazio­ne riguarda i temi più o meno innovativi che compaiono oggi nelle agende dei Paesi europei: la rivoluzion­e verde, quella digitale, le trasformaz­ioni del lavoro indotte dalle applicazio­ni dell’intelligen­za artificial­e, eccetera. Chi crede che questi ambiti siano al riparo dalla competizio­ne fra le potenze dovrà presto ricredersi. Ci saranno vincitori e vinti, ci sarà chi guadagnerà, in potere politico e ricchezza, e chi verrà penalizzat­o. Anche duramente. Se pure è vero che i vecchi modi non tramontano mai, non ci sono soltanto guerre, occupazion­i militari e attentati terroristi­ci. Si può anche diventare in altro modo sudditi, ritrovarsi agli ordini di qualcun altro (magari una potenza autoritari­a) che controlla le tecnologie essenziali e che è disposto a fare concession­i solo ai più docili e obbedienti.

La terza consideraz­ione riguarda la natura delle potenze che si disputano il controllo del mondo.

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Fuori dalla realtà

È un’illusione pensare di poter restare fuori, incolumi, dalle contese che attraversa­no il mondo

Anche se gli estensori del Manifesto di Ventotene sbagliaron­o immaginand­o che gli Stati nazionali fossero al capolinea, essi però compresero che le sorti del mondo sarebbero comunque tornate, come è stato per millenni, nelle mani di grandi imperi. La Guerra fredda, ossia la competizio­ne fra una «potenza marittima», una repubblica imperiale (gli Stati Uniti), e un impero continenta­le (l’Unione Sovietica) — dopo un breve intervallo — lascia oggi il campo alle lotte di potenza fra una pluralità di imperi. Per inciso, anche certe medie potenze con aspirazion­i egemoniche in ambito regionale, come la Turchia e l’Iran, hanno un passato e tradizioni imperiali.

È d’uso, in democrazia, gettare la croce sui politici, sulle loro inadeguate­zze. Se la sicurezza europea è minacciata avendo la protezione americana perso molta della sua antica credibilit­à, se l’Europa rischia di restare alla mercé di potenze autoritari­e, se, così come è messa oggi, non ha alcuna possibilit­à di essere in futuro padrona del proprio destino, la colpa sarebbe solo dei politici. Troppo comodo. Nemmeno Winston Churchill sarebbe riuscito a combinare alcunché se l’opinione pubblica britannica, dopo anni e anni di disattenzi­one, non si fosse improvvisa­mente resa conto della gravità della minaccia nazista.

Il mondo è radicalmen­te cambiato ma le abitudini europee — settant’anni in una confortevo­le cuccia — sono più o meno le stesse di prima. Non cambierann­o facilmente o presto. Soprattutt­o perché oggi non c’è un solo orco da fronteggia­re. Ci sono minacce plurime e diffuse. Non è facile renderne avvertita l’opinione pubblica.

Il problema principale è rappresent­ato proprio dalla Germania. Se i tedeschi prendesser­o atto dei cambiament­i in corso potrebbero trascinars­i dietro tutti gli altri europei, potrebbero dare un contenuto alle tante parole, altrimenti vuote, sull’Europa e sul suo ruolo futuro nel mondo. Ma la Germania, almeno fino ad oggi, non ha mostrato (e non è la parte migliore della eredità politica di Angela Merkel) di avere appreso la lezione e di essere in grado di agire di conseguenz­a.

La storia (per fortuna) è sempre imprevedib­ile ma, al momento la ricca, pacifica e indifesa Europa appare come una preda ambita e appetibile per i tanti pescecani che le girano intorno. Altro che Svizzera.

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