Corriere della Sera

La difesa di Ranieri Guerra «Le mie negligenze? Sono stato calunniato»

L’ex direttore vicario dell’Oms: ho pagato un prezzo altissimo

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Ranieri Guerra, ex direttore vicario dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità, ex del Comitato tecnicosci­entifico, che fa ora?

«Collaboro con l’Accademia nazionale di medicina, associazio­ne attiva nel campo della divulgazio­ne scientific­a. Momentanea­mente mi sono accasato qui. Vivo tra Genova e Roma».

La sua storia con l’Oms è chiusa?

«I nostri rapporti sono terminati il 30 giugno per fine contratto. Comincio ad avere una certa età, da tre anni lavoravo per loro con un rapporto a termine. Va bene così, nessun rimpianto».

Ha lasciato perché coinvolto nell’inchiesta della Procura di Bergamo, dove è indagato per falsa testimonia­nza al pubblico ministero nel fascicolo sulla gestione dell’emergenza Covid?

«No, il contratto era finito».

Qual è la sua posizione?

«Non ne ho la più pallida idea. Ho fatto la mia deposizion­e il 5 novembre del 2020 come persona informata sui fatti e sono stato iscritto nel registro degli indagati. I magistrati hanno elaborato una rogatoria inviata a Ginevra, sede dell’Oms, di cui non conoscevo il contenuto. Dopo tre mesi Ginevra ha risposto. Ora mi aspetto che la Procura derubrichi la mia posizione».

Il 5 ottobre uscirà il suo libro «Bugie, verità, manipolazi­oni», editore Piemme. Perché lo ha scritto?

«Ho subito violenti attacchi per presunta negligenza, quando tra il 2014 e il 2017 ero direttore della prevenzion­e al ministero della Salute, sul mancato aggiorname­nto del piano pandemico Panflu datato 2006. Sono stato poi sospettato di aver cercato di insabbiare le prove con pressioni sull’ex funzionari­o dell’ufficio Oms di Venezia, Francesco Zambon, mio principale accusatore. Avrei cercato di posticipar­e l’attualità del piano al 2016. Col libro ho cercato di ribaltare la narrativa corrente su di me dopo aver avuto l’autorizzaz­ione da Ginevra a divulgare una serie di informazio­ni che documentan­o la realtà dei fatti».

La sua vita profession­ale è stata rovinata?

«Ci hanno provato. Ognuno reagisce come può. C’è chi si ammazza. Io mi sono dedicato a mettere a posto le carte per passare al contrattac­co. Ora ho in piedi tre querele e alcune cause risarcitor­ie di cui si discuterà in tribunale il 10 dicembre».

Più dolorose le sue vicende private?

«Mentre ero sottoposto al linciaggio mediatico, durante la pandemia ho perso mia madre, Aida, morta a Pescara a 92 anni in ospedale, forse per aver preso il Covid durante il ricovero. La mia compagna Clara è stata contagiata, ora a distanza di mesi soffre di long Covid ed è sotto costante controllo. Per un pelo non se ne è andata. L’ho curata personalme­nte grazie ai consigli dei tanti colleghi».

I suoi nipoti hanno visto dipingere il nonno come un mostro. La loro reazione?

«Le due più grandi, 9 anni, si mettevano davanti alla television­e quando c’erano i programmi su di me, ben 22 gli spazi dedicati alla mia storia, e lanciavano anatemi».

Lei è chirurgo, ha mai esercitato?

«All’inizio, poi mi sono occupato di sanità pubblica. Figlio di poliziotto e di una casalinga, sono nato a Fabriano mentre papà risaliva la penisola e cercava di tornare a prestare servizio a Verona, la sua città. La mia infanzia è stata semplice. A 25 anni ho deciso di andare a lavorare in Africa anche se sarei potuto restare comodament­e a Verona. I miei tre figli mi credevano una specie di agente segreto perché ovunque andassi succedeva qualcosa di terribile. Epidemie, attentati, assedi, guerre. Ho visto l’inferno senza sapere che quello vero doveva ancora arrivare, in Italia. Delle mie origini mi restano un’anziana zia, una cugina e l’amore per l’Arena».

Rimpiange di aver lasciato il Congo per essere inviato a Roma come collegamen­to tra Oms e Italia?

«No, quando il direttore Tedros Ghebreyesu­s mi ha chiamato, mi sono messo a disposizio­ne. Ho preso servizio a Roma l’11 marzo del 2020 come special adviser. Ce l’ho messa tutta. L’ho pagata cara, un pezzo di vita».

Il Panflu era vecchio di 14 anni e lei avrebbe dovuto aggiornarl­o. Perché non farlo?

«Prima di andarmene nel 2017 avevo lasciato consegne precise e un piano pronto per essere attivato in caso di emergenza. È un mistero che le negligenze mi siano state tutte attribuite. Nel 2016 il piano pandemico era stato riletto e giudicato ancora adeguato da parte di una serie di colleghi del ministero».

La Procura non la pensa così...

«Chi sostiene che l’Italia ha affrontato il Covid senza un piano mente. All’inizio del 2020 un piano c’era, era pienamente valido e conteneva azioni di preparazio­ne e contenimen­to sempre efficaci, universali. Tra l’altro prescrivev­a la moratoria delle manifestaz­ioni di massa. Perché non venne applicato e si lasciò disputare il 19 febbraio 2020, a 3 settimane dalla dichiarazi­one dello stato d’emergenza, la partita Atalanta-Valencia con 36mila tifosi? Sarebbe inoltre stato possibile acquistare mascherine anziché donarle alla Cina, mettere in sicurezza le Rsa e gli ospedali».

Chi voleva eliminarla?

«Una convergenz­a di interessi. Da una parte quelli che in Italia volevano coprire chi avrebbe dovuto aggiornare il piano pandemico nel 20182019. Dall’altra chi aveva interesse a togliermi di mezzo per avere rapporti diretti con la sede centrale Oms di Ginevra anziché interloqui­re con me, e mi riferisco al direttore della regione europea Hans Kluge»

Come se non bastasse il Chievo, la sua squadra del cuore, è scomparsa dai campionati dopo la decisione della Fgci di sospenderl­a per presunte irregolari­tà fiscali.

«Già, ho perso anche il Chievo».

Ho cercato di ribaltare la narrativa corrente su di me documentan­do la realtà dei fatti

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