Tra l’elicottero e l’aereo Ecco l’ibrido sulle nuvole
Il nuovo convertiplano AW609 unirà presto i centri delle città
Metà elicottero, metà aeroplano: il convertiplano non è (più) una creatura mitologica, ma una realtà pronta al decollo. Capace di sollevarsi e atterrare in verticale e poi di volare ad alta quota (8 mila metri), a velocità elevata (oltre 500 km/h) e con un raggio di azione di quasi 1.400 chilometri. Il segreto sta in rotori basculanti che in meno di 60 secondi effettuano la conversione in volo e che, passando dalla posizione verticale a quella orizzontale, agiscono come eliche traenti.
Una delle più grandi sfide dell’aereonautica — se ne vagheggiava fin dagli anni Trenta del secolo scorso — è vinta nei nuovi Venti da un’azienda italiana, la Leonardo. «Il nostro oggi è l’unico convertiplano destinato anche al mercato civile. Ed è multiruolo: può soddisfare esigenze sia dei privati, sia dei governi», spiega Giovanni Mazzoni, ingegnere aerospaziale e program manager dell’AW609 che porterà rinnovato lustro ad Agusta, storico brand che oggi identifica l’offerta del Gruppo nel settore elicotteristico vip e corporate.
Quali sono i vantaggi?
«Riesce a comportarsi sia da elicottero — decolla e atterra in poco spazio, senza bisogno di piste o zone preparate — sia da aeroplano: si vola in modo più confortevole e al doppio della velocità di un elicottero. Dal centro di Milano al centro di Londra si impiegano circa due ore. Inoltre, essendo pressurizzato può passare sopra le perturbazioni e seguire rotte particolari, come il sorvolo delle Alpi. Poi, la point-to-point connection va a decongestionare aree con grande densità di traffico e ridurre il tempo di commuting. A tutto vantaggio della sostenibilità».
I suoi utilizzi?
«Servirà a ottimizzare la flotta: per esempio, nel nord dell’Alaska si possono trasportare le persone sulla costa e sulle piattaforme petrolifere con un unico mezzo. In Australia simulazioni dimostrano come col convertiplano i flying doctor ridurrebbero di un’ora o due il tempo per recuperare un paziente che si trovi nelle comunità rurali dell’interno. Potrà servire isole che oggi si raggiungono solo via mare, come le giapponesi Ogasawara, dove si arriva in 24 ore».
All’interno com’è? «Simile a un business jet, un Piaggio P180 o un King Air: ha una cabina cilindrica con nove posti più due piloti. E ha varie configurazioni: utility, per trasportare; corporate, con interni più curati; vip, in cui si riduce il numero dei posti all’aumentare del comfort; medicale, con spazio per barelle e operatori; di ricerca e salvataggio, con strumenti sofisticati di visione e sollevamento. Atterrerà in tutti i mercati e può essere realizzato con dimensioni e capacità di trasporto diverse: in Europa abbiamo già in sviluppo un modello più grande».
Ha bisogno di infrastrutture particolari?
«Può partire da un’infrastruttura modulare che non ha eguali, un terminal che si può montare e smontare in qualsiasi area, anche urbana, e che porta con sé anche i servizi che avresti in aeroporto».
Taxi volanti, convertiplani: più traffico in cielo?
«La dimensione avveniristica dell’urban air mobility è un’area di interesse e arriverà, ma non a brevissimo. Non c’è solo un tema di tecnologia, ma anche di definire nuove regole in un ambiente critico, dove devi garantire la massima sicurezza. Per modernizzare l’uso dello spazio aereo sulle nostre città però non dobbiamo aspettare il taxi volante, c’è un altro oggetto che è già pronto. E copre distanze molto maggiori e con dimensioni temporali molto diverse: la certificazione civile arriverà presto e il convertiplano potrebbe essere disponibile tra due anni». L’immaginazione deve correre veloce perché la fantascienza è già qui.
Giovanni Mazzoni
«La dimensione avveniristica dell’urban
air mobility è un’area di interesse e arriverà»