«Il mio calcio è più moderno»
«Non si può restare immobili nessuna rivoluzione ma evoluzione Mondiale ogni due anni vuol dire alzare il livello e creare inclusione»
Secondo Napoleone III, in Francia «è difficile fare le riforme, si fanno le rivoluzioni». Arsene Wenger, alsaziano, però ha un approccio diverso dopo ventidue anni trascorsi a Londra da allenatore dell’Arsenal: più evoluzionista, quasi darwiniano. Perché, secondo chi lo governa, se il calcio non cambia rischia di restare indietro nel mercato dell’intrattenimento.
Wenger, lei nel 1968 aveva vent’anni, era studente e atleta: aveva un animo rivoluzionario o più conservatore?
«Direi che sono stato più un ‘evoluzionario’, se si può usare questo termine».
Ma quella che state studiando si può considerare una rivoluzione del calcio?
«Non credo che sia una rivoluzione, piuttosto un’evoluzione, che è necessaria».
Qual è il suo obiettivo?
«Rendere migliore il calcio internazionale: più chiaro, più semplice e più significativo, con una riduzione delle qualificazioni e una maggiore attenzione alle grandi competizioni finali. Allo stesso tempo, voglio mantenere l’equilibrio attuale: circa l’80% della stagione per le competizioni per club e il 20% per le competizioni delle Nazionali. Non c’è davvero nulla di rivoluzionario in questo: è semplicemente un modo più moderno di organizzare il calcio».
Cerchi di convincere un suo collega di Premier o di A della bontà del progetto che porta al Mondiale biennale.
«La mia proposta è di raggruppare le qualificazioni in una o due finestre internazionali, invece delle cinque attuali. In questo modo ci sarebbero meno interruzioni e i giocatori rimarrebbero al loro club per quasi tutta la stagione. Come manager di club avrei firmato immediatamente per questa proposta».
Ci provi adesso con un c.t. di una grande Nazionale.
«Se raggruppiamo le qualificazioni in una o due finestre e disputiamo una competizione alla fine di ogni stagione, gli allenatori della Nazionale avrebbero condizioni migliori per lavorare e sviluppare la loro squadra, con un approccio a lungo termine. Ora non è possibile».
Come si può preservare l’importanza della storia della Coppa del Mondo?
«La tradizione non dovrebbe significare rimanere immobili, ma piuttosto concentrarsi sull’essenza del gioco. L’attuale sistema, con il Mondiale quadriennale è stato stabilito quasi cento anni fa. Aveva senso allora, soprattutto a causa dei viaggi, ma i tempi sono cambiati. Il Mondiale 2026 sarà a 48 squadre. Con più Nazionali nella fase finale non ha più senso avere lunghe qualificazioni distribuite nell’arco di due anni».
La Coppa del mondo biennale avrebbe lo stesso peso?
«Sì, sarà ancora la Coppa
La mia riforma tiene conto di interessi diversi al posto di un allenatore di club la cavalcherei
del Mondo: le migliori squadre nazionali che si sfidano in una competizione a eliminazione diretta. Sarà sempre l’apice della carriera di un giocatore e la più grande fonte di passione per i tifosi. Questa tradizione ci sarebbe ancora. E in realtà voglio darle più spazio».
Perché un’accoglienza così dura da parte della Uefa?
«Posso capire le critiche, ma penso che alcune persone reagiscano senza vedere il quadro completo. Pensano che stiamo proponendo più partite, ma con la mia idea ci sarebbero meno gare. E più significative».
Ha senso fare una riforma senza il pieno consenso di Europa e Sudamerica?
«Uno degli obiettivi della riforma è anche quello di affrontare il crescente divario tra le confederazioni. Molte di loro non hanno l’opportunità di giocare queste partite ad alto livello, quindi non hanno la possibilità di colmare il divario. Con una Coppa del Mondo più frequente daremmo loro più possibilità di partecipare. E uno stimolo a investire nello sviluppo dei giovani».
L’Europeo biennale può essere una soluzione per convincere anche la Uefa?
«La mia attenzione è puramente sul calcio. Poi c’è bisogno
Punto tutto sul gioco più chiaro, più semplice Qualificazioni ridotte e attenzione alle finali Meno pause per i club
di una discussione a livello politico, perché la riforma vada in porto. Ma spero che tutti vedano che la mia proposta tiene conto di interessi molto diversi».
Il sostegno più inatteso?
«Diverse persone all’inizio erano contrarie, ma alla fine della nostra conversazione hanno visto più vantaggi che lati negativi. Molti giocatori e allenatori che stimo sostengono questa visione. Ed è rassicurante per me».
A chi dice che sembra una svolta nel nome del business, cosa risponde?
«La mia è una proposta puramente calcistica. C’è uno studio in corso su aspetti più ampi, compresi quelli finanziari. Ma la mia competenza e il punto di partenza della mia riflessione è il gioco: voglio renderlo migliore».
La battaglia dei calendari dimentica i campionati?
«La mia proposta sarebbe positiva per i campionati, che sono costantemente interrotti dalle partite delle Nazionali».
Il sindacato calciatori come ha reagito alla proposta?
«Ho chiarito con la FifPro che i giocatori sono la mia prima preoccupazione. Quasi tutti i migliori giocano in Europa, quindi per i sudamericani, africani e asiatici, significa dover volare per oltre 300.000 chilometri in quattro anni, per giocare con le Nazionali: un peso enorme, che si ridurrà. Inoltre, dalla mia esperienza e dal dialogo con alcuni grandi giocatori, so che molti preferirebbero disputare più partite importanti, piuttosto che altri incontri meno significativi».
L’inflazione di eventi non omologa il prodotto?
«Tutti i tifosi vogliono vedere le partite che contano davvero. Quindi, quello che propongo non è di aggiungere più partite al calendario, ma di “pulirlo” in un certo senso ed eliminare le partite che hanno perso significato».
Sono concetti cari anche alla Superlega, non trova?
«C’è una differenza fondamentale: il mio obiettivo non è quello di creare un negozio chiuso ed esclusivo, ma di rendere il calcio più inclusivo, dando più opportunità a tutti i Paesi di tutte le regioni di competere ai massimi livelli. Delle 211 associazioni della Fifa, 133 non hanno mai partecipato a un Mondiale. Se l’organizzassimo in modo più regolare, avrebbero più possibilità di partecipare. Ho letto proposte di riforma per la serie A: alcune idee assomigliano alle mie — meno partite, ma più significative — . Quindi non sono l’unico che sta riflettendo sull’argomento».