POLITICA E MAGISTRATURA: QUANDO FINIRÀ QUESTO DERBY?
Caro direttore, purtroppo, nel nostro Paese, la giustizia e le sentenze sono state sempre considerate dalla politica come un tifoso considera un gol nella porta avversaria. Se si condanna un avversario politico si esulta, se si condanna un amico si attacca la magistratura: possiamo continuare ad avere questo clima da derby permanente sulla magistratura? Come ne potremo uscire?
Sergio Guadagnolo
Caro signor Guadagnolo,
Sui rapporti tra politica e giustizia sono stati versati fiumi d’inchiostro ma siamo sempre al punto di partenza. L’utilizzazione delle inchieste e delle sentenze segue sempre una corrente alternata: se riguardano gli avversari si fa di tutto per farle diventare un corpo contundente nelle battaglie per il consenso e il potere. Quando sono indirizzate verso il proprio partito o gli amici diventano scandali, complotti, gravi interferenze verso l’autonomia della politica. Non c’è mai misura, rispetto, attesa che le inchieste finiscano e i verdetti diventino definitivi dopo aver permesso alla difesa di svolgere il suo ruolo. È dai tempi di Tangentopoli e della fine della Prima Repubblica che le cose vanno così con un crescendo inarrestabile.
C’è però anche il rovescio della medaglia. Una parte della magistratura ha interpretato il proprio ruolo con un presenzialismo assoluto, ha indossato i panni del vendicatore quando addirittura non si è messa a fare politica in prima persona. La riservatezza e l’imparzialità hanno fortemente vacillato, la fiducia in un’inchiesta seria e in un processo giusto è stata messa a dura prova. Un magistrato non solo deve essere ma anche apparire imparziale. I passaggi di pm e giudici alla carriera politica non hanno certo fatto bene all’immagine di chi deve decidere su aspetti importanti delle vite di tutti. La riforma della giustizia e la ricostituzione di un rapporto corretto tra politica e magistratura non sono più rinviabili.