Corriere della Sera

INTERVENTI E REPLICHE

- Massimo Krogh

La giustizia e la divisione delle carriere

Politica e giustizia sono temi che sollecitan­o gli umori in direzione del concetto di legalità, avvertito come un traguardo ambìto ma tutt’altro che raggiunto nelle tante ingiustizi­e che dividono il Paese. Fra l’altro, è naturale chiedersi se possa considerar­si giustizia la lentezza dei processi che ci affligge. Nel campo civile, può dirsi giusta una sentenza pronunziat­a dopo una decina d’anni? Ciò è quanto avviene nella materia successori­a, dove si dà tempo agli eredi in lite di morire per modo che a loro volta diano spazio a una nuova causa fra gli eredi che arrivano. E che dire del penale! Può ritenersi giustizia mantenere sotto processo per anni una persona per «atto dovuto», come si dice, per assolverla poi, magari per prescrizio­ne, dopo un calvario penoso e distruttiv­o? Da noi, forse unici al mondo, c’è l’obbligo di esercizio dell’azione penale, inoltre rinforzato dal reato di depistaggi­o. Insomma, una corsa al processo quasi che fosse fonte di benessere piuttosto che una rovina per il Paese. Pare che siamo fuori della logica. In effetti, bisogna prendere atto del vuoto che la politica ha creato trasferend­o le proprie ansie d’idealità nella giustizia penale, intravista illusoriam­ente come un miraggio di moralizzaz­ione, con l’effetto imprevedib­ile ma inesorabil­e di assimilare lo Stato di diritto a uno Stato di diritto penale. Non va dimenticat­o che il dilemma politica-giustizia non è esclusivo dei palazzi di giustizia. La giustizia non deve essere intesa come un’accademia d’indiziati ma come un altissimo servizio dello Stato che esprima soprattutt­o chiarezza e ragionevol­e moderazion­e. E ogni potere dev’essere soggetto alla regola del bilanciame­nto, in modo da evitare eccessi di potere che non giovano. Difatti, può vedersi come l’eccesso di potere conferito con delega in bianco all’ufficio del pubblico ministero diviene oggi causa di disfunzion­i giudiziari­e che rompono il necessario equilibrio fra indagini e processo. Queste consideraz­ioni inducono in favore della separazion­e delle carriere giudici-pm, anche per un adeguament­o al resto del mondo occidental­e, visto che siamo l’unico Paese ad avere un pubblico ministero che, nei fatti e nell’opinione pubblica, viene considerat­o (impropriam­ente) un giudice.

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