Corriere della Sera

Ripensare i centri urbani con la lente dell’umanità

Architetti e sociologi a confronto: il modello del futuro è policentri­co

- Micol Sarfatti

Le città sono state a lungo il cuore pulsante del nostro Paese, il centro delle attività, il luogo degli scambi, fisici e intellettu­ali. Poi la pandemia ha mischiato le carte e offerto prospettiv­e che prima ci erano sembrate impensabil­i. Durante il lockdown, chi ha potuto, anche grazie allo smartworki­ng, ha riscoperto la possibilit­à di una vita fuori dalle metropoli. Ora che la paura dei contagi si fa più sfumata e le abitudini sembrano tornare lentamente ai ritmi del «prima» come possiamo ricucire le nostre città? In tutto il mondo si avverte la necessità di riportarle al centro della scena, provando però a migliorarl­e e renderle più sostenibil­i.

«La pandemia ha messo di nuovo sotto la lente di ingrandime­nto la grande discrasia

tra centro e periferie», spiega il sociologo Alfredo Mela, autore de La città postmodern­a (Carocci) e a lungo docente del Politecnic­o di Torino. «Abbiamo notato come ci siano zone più sguarnite di servizi rispetto ad altre e come, in molti centri, si siano sviluppate delle bolle intorno a determinat­i tipi di attività dai centri commercial­i agli ospedali fino ai locali notturni. Le concentraz­ioni eccessive possono diventare pericolose: le banlieu francesi ne sono state, purtroppo, l’esempio. Dobbiamo ripartire da qui per ripensare un nuovo modello di città inclusivo. La sostenibil­ità urbana non deve essere solo ambientale, tema che dovrebbe comunque stare in cima all’agenda di tutti i politici, ma anche umana ed economica». Paolo Asti, fondatore di Asti architetti e curatore di importanti opere di riqualific­azione urbana, concorda e porta l’esempio della sua città: Milano. «Interventi come gli scali, le ex Varesine e City Life, tutti nel capoluogo lombardo, hanno riguardato singoli edifici, ma sono stati un buon volano per rigenerare intere aree», spiega. «Nel futuro prossimo noi architetti dobbiamo lavorare seguendo modelli come questi per avere metropoli in cui la differenza tra zone nobili e meno nobili sia sempre meno evidente e avviare così un vero e proprio rinascimen­to immobiliar­e».

Massimo Roj, architetto e fondatore di Progetto CMR, società di progettazi­one integrata, che unisce architettu­ra, ingegneria, interior design e product design, sottolinea come le periferie debbano ormai venire considerat­e come parte integrante delle città perché si estendono fino alle tangenzial­i, alle grandi arterie di scorriment­o esterno e a quella che viene chiamata «area metropolit­ana». «Le nostre città sono nate intorno alle piazze, hanno sviluppato i quartieri, poi si sono evolute espandendo­si in strutture più complesse», precisa Roj. «Ora dovrebbero tornare a essere “policentri­che”, cioè composte da tante zone diverse, ma tutte autosuffic­ienti, con attività di artigianat­o, commercio, servizi, opportunit­à di lavoro e una propria identità. L’importanza di questa dimensione è stata evidente durante i lockdown, quando potevamo uscire solo nel raggio di poche centinaia di metri, in cui, non sempre, trovavamo quello che ci serviva. Dobbiamo ripensare le città partendo dai luoghi di aggregazio­ne, per non avere più ghetti dove esiste una sola classe sociale».

Un altro nodo cruciale è quello delle case popolari e a basso costo. È necessario trovare nuovi modelli, coinvolgen­do il settore dell’edilizia privata, che si rivolgano non solo ai redditi bassissimi, ma anche a fasce della popolazion­e fragili con un reddito medio basso o precarietà lavorativa: studenti, giovani, anziani o genitori single.

Quale sarà il ruolo dello smartworki­ng e dei nuovi spazi profession­ali nelle città del futuro? «L’impatto del lavoro agile è già visibile», commenta Asti, «ma è subordinat­o a due fattori importanti. Il primo è la buona qualità delle infrastrut­ture di rete, cioè le connession­i veloci a internet, non sempre fruibili ovunque, il secondo è il ripensamen­to degli spazi. Bisogna crearne di adatti sia nelle case private che nelle aziende, dove la “vecchia”

Alfredo Mela «Le concentraz­ioni eccessive possono diventare pericolose, pensiamo alle banlieue»

Massimo Roj «Dobbiamo tornare ad avere quartieri autosuffic­ienti e con una propria identità»

scrivania fissa sta già venendo rimpiazzat­a da postazioni in open space che si prenotano di volta in volta, a seconda della presenza».

«Abbiamo imparato che si può lavorare da qualunque posto», conclude Roj, «gli uffici del futuro saranno sempre più working hub: luoghi condivisi che uniranno profession­isti diversi, ridurranno gli spostament­i e saranno presenti in tutte le zone della città». Tra mutamenti e nuove soluzioni una cosa sembra essere certa: le città saranno ancora il centro delle nostre vite.

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(Fotogramma) Stare insieme nel verde Performanc­e dell’artista Billy Bolla, domenica scorsa, nel parco Biblioteca degli Alberi di Milano per l’iniziativa «Insieme per la salute mentale»

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