Ripensare i centri urbani con la lente dell’umanità
Architetti e sociologi a confronto: il modello del futuro è policentrico
Le città sono state a lungo il cuore pulsante del nostro Paese, il centro delle attività, il luogo degli scambi, fisici e intellettuali. Poi la pandemia ha mischiato le carte e offerto prospettive che prima ci erano sembrate impensabili. Durante il lockdown, chi ha potuto, anche grazie allo smartworking, ha riscoperto la possibilità di una vita fuori dalle metropoli. Ora che la paura dei contagi si fa più sfumata e le abitudini sembrano tornare lentamente ai ritmi del «prima» come possiamo ricucire le nostre città? In tutto il mondo si avverte la necessità di riportarle al centro della scena, provando però a migliorarle e renderle più sostenibili.
«La pandemia ha messo di nuovo sotto la lente di ingrandimento la grande discrasia
tra centro e periferie», spiega il sociologo Alfredo Mela, autore de La città postmoderna (Carocci) e a lungo docente del Politecnico di Torino. «Abbiamo notato come ci siano zone più sguarnite di servizi rispetto ad altre e come, in molti centri, si siano sviluppate delle bolle intorno a determinati tipi di attività dai centri commerciali agli ospedali fino ai locali notturni. Le concentrazioni eccessive possono diventare pericolose: le banlieu francesi ne sono state, purtroppo, l’esempio. Dobbiamo ripartire da qui per ripensare un nuovo modello di città inclusivo. La sostenibilità urbana non deve essere solo ambientale, tema che dovrebbe comunque stare in cima all’agenda di tutti i politici, ma anche umana ed economica». Paolo Asti, fondatore di Asti architetti e curatore di importanti opere di riqualificazione urbana, concorda e porta l’esempio della sua città: Milano. «Interventi come gli scali, le ex Varesine e City Life, tutti nel capoluogo lombardo, hanno riguardato singoli edifici, ma sono stati un buon volano per rigenerare intere aree», spiega. «Nel futuro prossimo noi architetti dobbiamo lavorare seguendo modelli come questi per avere metropoli in cui la differenza tra zone nobili e meno nobili sia sempre meno evidente e avviare così un vero e proprio rinascimento immobiliare».
Massimo Roj, architetto e fondatore di Progetto CMR, società di progettazione integrata, che unisce architettura, ingegneria, interior design e product design, sottolinea come le periferie debbano ormai venire considerate come parte integrante delle città perché si estendono fino alle tangenziali, alle grandi arterie di scorrimento esterno e a quella che viene chiamata «area metropolitana». «Le nostre città sono nate intorno alle piazze, hanno sviluppato i quartieri, poi si sono evolute espandendosi in strutture più complesse», precisa Roj. «Ora dovrebbero tornare a essere “policentriche”, cioè composte da tante zone diverse, ma tutte autosufficienti, con attività di artigianato, commercio, servizi, opportunità di lavoro e una propria identità. L’importanza di questa dimensione è stata evidente durante i lockdown, quando potevamo uscire solo nel raggio di poche centinaia di metri, in cui, non sempre, trovavamo quello che ci serviva. Dobbiamo ripensare le città partendo dai luoghi di aggregazione, per non avere più ghetti dove esiste una sola classe sociale».
Un altro nodo cruciale è quello delle case popolari e a basso costo. È necessario trovare nuovi modelli, coinvolgendo il settore dell’edilizia privata, che si rivolgano non solo ai redditi bassissimi, ma anche a fasce della popolazione fragili con un reddito medio basso o precarietà lavorativa: studenti, giovani, anziani o genitori single.
Quale sarà il ruolo dello smartworking e dei nuovi spazi professionali nelle città del futuro? «L’impatto del lavoro agile è già visibile», commenta Asti, «ma è subordinato a due fattori importanti. Il primo è la buona qualità delle infrastrutture di rete, cioè le connessioni veloci a internet, non sempre fruibili ovunque, il secondo è il ripensamento degli spazi. Bisogna crearne di adatti sia nelle case private che nelle aziende, dove la “vecchia”
Alfredo Mela «Le concentrazioni eccessive possono diventare pericolose, pensiamo alle banlieue»
Massimo Roj «Dobbiamo tornare ad avere quartieri autosufficienti e con una propria identità»
scrivania fissa sta già venendo rimpiazzata da postazioni in open space che si prenotano di volta in volta, a seconda della presenza».
«Abbiamo imparato che si può lavorare da qualunque posto», conclude Roj, «gli uffici del futuro saranno sempre più working hub: luoghi condivisi che uniranno professionisti diversi, ridurranno gli spostamenti e saranno presenti in tutte le zone della città». Tra mutamenti e nuove soluzioni una cosa sembra essere certa: le città saranno ancora il centro delle nostre vite.