La testimonianza di Conte ai pm: le mie pressioni su Al Sisi senza esito
L’ex premier e i quattro colloqui inutili. «Chiesi di riavere gli effetti personali, nessuna risposta»
ROMA La decisione della Corte d’Assise di Roma non lascia presagire nulla di buono per il futuro del processo, vista la sordità che il governo egiziano ha dimostrato finora alle richieste italiane. Difficile che una nuova istanza del giudice dell’udienza preliminare, da dove si dovrà ricominciare per ottenere gli indirizzi degli imputati e comunicare loro quello che sta accadendo a Roma, abbia un esito diverso. Da quasi quattro anni dal Cairo vengono negate informazioni e risposte; per questo la Procura ha sostenuto che bisognava andare avanti in assenza degli imputati: sono solo «finti inconsapevoli» del giudizio a loro carico, e le rogatorie rimaste lettera morta dal 2017 in avanti sono parte integrante dei depistaggi messi in atto prima per ostacolare le indagini e ora per impedire il processo.
Tesi respinta, nonostante l’ultimo indizio portato dall’accusa per dimostrare lo sbarramento egiziano alla ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni: la testimonianza resa lunedì scorso, 11 ottobre, dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Contiene l’elenco dei suoi tentativi fatti al più alto livello istituzionale per convincere la Repubblica araba a cambiare atteggiamento, corrispondenti — nella sostanza — ad altrettanti tentativi falliti di ottenere la cooperazione richiesta.
«Nelle varie occasioni di incontri personali e telefonici con il presidente Al Sisi ho sempre sollecitato la collaborazione, chiarendo l’estrema rilevanza di questa tragica vicenda per le autorità di governo italiane, per l’intera opinione pubblica nazionale oltre che per rispetto ai familiari, in modo che fosse chiaro ai vari livelli istituzionali che gli autori di questo atroce delitto fossero individuati e condannati attraverso un giusto processo» ha riferito l’ex premier al procuratore di Roma Michele Prestipino e al procuratore aggiunto Sergio Colaiocco lunedì scorso.
Nella sua testimonianza, il capo di governo che più degli altri tre avvicendatisi dall’omicidio di Giulio ha avuto contatti con il presidente egiziano, ha rievocato quattro colloqui «estremamente significativi», ma altrettanto improduttivi. Il primo a New York, il 23 settembre 2019, durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite: l’allora premier sottolineò «l’importanza di ottenere la piena cooperazione giudiziaria e istituzionale da parte dell’Egitto, anche dando seguito alle richieste ufficialmente pervenute dall’Italia tramite il ministero della Giustizia». Era il periodo in cui la Procura attendeva di conoscere gli indirizzi degli indagati per notificare gli atti, mai comunicati.
Il secondo incontro è del 14 gennaio 2020, al Cairo. «Ribadii — dice Conte — che il ripristino dei rapporti bilaterali nella loro pienezza e intensità passava necessariamente attraverso l’impegno delle autorità egiziane. Puntualizzai che la nostra magicompromessa stratura era giunta a individuare degli indagati e che l’Egitto avesse il dovere morale di supportare l’azione giudiziaria italiana».
Cinque mesi più tardi, il 7 giugno 2020, Conte e Al Sisi parlarono al telefono: «Ripassammo gli aspetti più urgenti di interesse reciproco. Ho lamentato il fatto che non vi fossero passi avanti, e che questo rendeva difficoltosi i rapporti tra i nostri Paesi. Sottolineai che potevano avere un rilievo strategico ma questa evoluzione risultava dal mancato sviluppo sul fronte della collaborazione sul caso Regeni».
Il generale egiziano non dovette preoccuparsene granché se il 20 novembre, in un’altra telefonata, l’allora premier italiano si trovò a ripetere più o meno le stesse cose: «Dissi in maniera ferma che la mancata collaborazione rappresentava un serio ostacolo ai rapporti bilaterali tra i due Paesi. Lo sollecitai a compiere un passo risolutivo in direzione di una concreta e fattiva collaborazione, anche perché cercai di rappresentargli che con la chiusura delle indagini ci approssimavamo al momento della verità; una eventuale mancata collaborazione egiziana sarebbe risultata evidente e non solo la comunità italiana ma anche quella internazionale ne avrebbero preso atto e che tutti ne avremmo dovuto trarre le rispettive conseguenze».
Conte ricorda che nello stesso periodo, quando l’Italia cercava in tutti i modi di ottenere l’elezione di domicilio degli imputati sollecitata tramite rogatoria, ci fu pure «una attività intensa da parte dell’intelligence, finalizzata a creare le condizioni per il conseguimento di questo importante obiettivo». Ancora niente, però. Da allora è passato un altro anno e quella risposta non è arrivata. Tanto che il pm Colaiocco dice in aula: «Gli imputati sanno bene che c’è un processo a loro carico, ma fanno finta di non saperlo per sottrarsi volontariamente al giudizio e provare in questo modo a bloccarlo».
Nella testimonianza di Conte c’è spazio per un ultimo particolare, nel quale s’intrecciano gli aspetti giudiziari e umani della tragedia: «Nel corso degli incontri con il presidente Al Sisi ho formulato ulteriori specifiche richieste, tra cui quella di ottenere gli effetti personali di Giulio Regeni; il presidente mi assicurò il suo impegno anche su questo, ma non mi risulta che la richiesta abbia avuto corso effettivo». Come tutte le altre. Le prossime si vedrà.