Hezbollah cerca di bloccare l’inchiesta sulla strage al porto A Beirut si scatena la battaglia
Spari dai tetti e sei vittime negli scontri con le milizie maronite
GERUSALEMME Alla rotonda di Tayouneh la crisi libanese svolta verso la guerra civile. Almeno per quattro ore. I manifestanti sciiti – guidati dai capibastone di Hezbollah e Amal – stanno marciando per raggiungere il palazzo di Giustizia, protestano perché la Corte di Cassazione ha dato il via libera a Tareq Bitar per proseguire nella sua inchiesta e provare a capire che cosa sia successo al porto di Beirut quattordici mesi fa.
Provare a capire che cosa abbia potuto trasformare quel deposito in una bomba ultrapotente che ha ucciso almeno 215 persone e distrutto un terzo della città, quali materiali potrebbero essere stati nascosti lì assieme al nitrato d’ammonio sequestrato a una nave mercantile. O perché quel composto chimico usato come fertilizzante ma anche per imbottire di esplosivo i camion e le auto non fosse stato spostato lontano dalle zone abitate.
Il magistrato è acclamato da una parte dei libanesi per la sua lotta contro la corruzione, secondo i sostenitori di Hezbollah sta abusando del potere e persegue obiettivi politici. Così la manifestazione e le minacce contro i giudici, una dimostrazione di forza che tracima anche verso le aree cristiane. Dai tetti — all’incrocio che già segnava le linee religiose e belliche durante il conflitto durato quindici anni fino al 1990 — i cecchini sparano sulla folla, i miliziani sciiti rispondono, le armi già pronte, colpi a raffica dai kalashnikov, i lanciagranate usati per le strade. Restano uccisi in sei, tra loro una donna ammazzata nel suo appartamento da un proiettile vagante.
Hezbollah accusa le Forze libanesi di Samir Geagea, quei tetti su cui si sono appostati i tiratori stanno dall’altra parte della prima linea, coprono i palazzi di un quartiere nemico. Il leader cristianomaronita smentisce che siano stati i suoi uomini a sparare, risponde che il problema restano «le troppe armi illegali in circolazione», pensa all’arsenale accumulato dall’organizzazione filo-iraniana.
Il premier Najib Mikati è riuscito un mese fa a mettere insieme il governo, la priorità dovrebbe essere la crisi economica: in due anni di caos finanziario i poveri sono raddoppiati, la lira libanese si è ridotta al valore di fogli di carta, le scorte di gasolio e benzina sono prosciugate, l’elettricità più va che viene. Mikati ripete che «non possono essere i politici a decidere di rimuovere un giudice», sono stati i parlamentari di Hezbollah e Amal a chiedere che l’indagine venga fermata, due ex ministri convocati con l’accusa di negligenza criminale per la strage al porto avevano presentato la petizione alla Corte di Cassazione. Anche il presidente Michel Aoun, cristiano, ha ribadito che l’inchiesta deve andare avanti, una posizione più netta rispetto ai tentennamenti del passato che gli è stata imposta dagli scontri di oggi.
Mikati adesso deve affrontare le pressioni militarizzate dei gruppi che continuano a spartirsi il Paese e vogliono tenere i libanesi al buio.