I miei Angeli con un’ala sola
Maurizio de Giovanni spiega com’è nato il nuovo capitolo dei Bastardi di Pizzofalcone
Di solito lo chiedono a cena. Forse le situazioni per dir così istituzionali, presentazioni di libri, dibattiti, tavole rotonde o lezioni di scrittura, posseggono una certa sacralità che porta a non fare certe domande. Forse si teme di risultare superficiali, o di non essere sufficientemente consapevoli del processo creativo. Più probabilmente si pensa che ci sia chissà quale segreto dietro, e che un autore non sia disponibile ad aprire lo scrigno a chiunque.
Sta di fatto che la domanda ti arriva invariabilmente quando la guardia è abbassata, il momento è conviviale e c’è quella confidenza che solo versando il vino dalla stessa bottiglia e commentando lo stesso piatto si stabilisce tra due persone, e ci sono risate e allegria e sufficiente serenità per permettersi di essere banali.
E invece non c’è niente di banale, in questa domanda; anzi, direi che è la risposta più complicata e difficile da dare. Per cui, quando il commensale di turno con la forchetta a metà strada tra la bocca e il piatto ti chiede, con un mezzo sorriso: ma da dove ti vengono le idee? Be’, bisogna pur rispondere.
Il punto è che si diventa consapevoli di avere un’idea solo quando questa è germinata, ed è diventata visibile sulla superficie dell’humus primordiale dell’inconscio. Bisognerebbe, a essere onesti, fare una ricerca retrospettiva per rinvenire il seme originario, una notizia, una parola carpita per strada, il verso di una canzone o una frase in un film; quella è probabilmente la scintilla, il minuscolo big bang della creatività, il messaggio in bottiglia della realtà diretto alla fantasia. Ma quando succede, uno non se ne accorge. Non subito, e per chissà quanto tempo. La consapevolezza arriva quando già i contatti col mondo vero, con le cose e le persone reali intendo, non ci sono più. Quando sono già i personaggi e l’ambientazione a vivere uno scheletro di trama, e tutto il resto, ricerche e preparazioni, servirà a dare forma e sostanza all’idea.
Per cui no, non saprei dire qual è stato il seme, da dove arriva in origine l’idea di Angeli per i Bastardi di Pizzofalcone. Posso dire però che è da molto che rifletto sulle figure di supporto, su quelle che restano in secondo piano e che forniscono opere indispensabili.
In un’epoca in cui il protagonismo è diventato la regola, in cui l’egocentrismo sollecitato e favorito dai social network ha fatto sì che ognuno coltivi la propria personalità arrivando perfino ad adeguare l’immagine a come si vorrebbe essere molto più che a come si è in realtà, gli angeli hanno un ruolo ancora più importante, se ci pensate.
Gli artigiani, per esempio. I grandi interessi economici e commerciali portano a non riparare, ma a sostituire. Pezzi di ricambio introvabili e costosissimi, offerte speciali molto convenienti, difficile reperibilità delle necessarie professionalità stanno portando all’estinzione di intere categorie e di mestieri nobili e antichi. Ma non sempre si può comprare, e non sempre il nuovo può sostituire l’usato. Un’auto d’epoca, un paio di vecchie scarpe, un abito molto amato possono avere nel cuore un posto importante, possono essere depositari di un affetto al quale non si è disposti a rinunciare. Bisogna trovare un angelo, insomma. Uno che, guadagnando poco in rapporto alla fatica e rinunciando ad apporre il proprio luminoso marchio su un oggetto nuovo, rimetta a posto, insieme all’oggetto, la ferita che si era aperta sul cuore all’idea di doverne fare a meno.
Lo stesso vale per le persone. La vita sociale è una macchina complessa e fredda, che spesso stritola tra i propri inarrestabili ingranaggi i fragili, e lascia indietro i più lenti. Questi due anni ne hanno dato una tragica, evidente dimostrazione. Abbiamo assistito e assistiamo ogni giorno a violenze e sopraffazioni, e non possiamo non pensare a tutto quello che non viene a galla, che non arriva agli onori della cronaca. Migliaia di donne, bambini, anziani che non hanno la forza di difendersi e che subiscono in silenzio, senza nemmeno poter chiedere aiuto.
Gli angeli delle persone, gli angeli custodi, fanno del loro meglio. Operatori del terzo settore, medici e infermieri, assistenti sociali, certamente: ma anche poliziotti, carabinieri che interpretano il mestiere che svolgono come una funzione pubblica; anche loro senza clamore, senza riflettori o evidenze di stampa ma con determinazione e forza, sottopagati e tra mille difficoltà e magari a costo della propria salute.
Angeli silenziosi, senza spade fiammeggianti o grandi ali bianche, ma con la consapevolezza di trovarsi in un mondo che tollera a stento la loro presenza, e la loro opera.
Non lo so da dove è nata l’idea. Forse semplicemente passando in fretta all’esterno di una delle sempre più rare botteghe e intravedendo un ciabattino anziano e curvo a inchiodare una suola, o un anziano meccanico immerso al di sotto di una vettura malconcia sistemata su un ponte. Forse percependo l’odore della colla o della benzina. Forse quella volta che ho visto una volante della polizia di Stato fermare il traffico per consentire a un’anziana, che era caduta, di alzarsi, di raccogliere le arance che le erano uscite dalla borsa e attraversare al braccio dell’agente la strada. Forse nel vedere mia sorella, avvocato della famiglia, commuoversi fino alle lacrime per la sorte di una bambina che è diventata territorio di guerra fra i genitori. Forse ripensando al grande Luciano De Crescenzo, che faceva dire al suo poeta che siamo angeli con un’ala sola e possiamo volare solo stando abbracciati.
Angeli, comunque. Che non sono invulnerabili, che anzi sono fragili, lesionati, feriti perché ogni volta per comprendere e per aiutare devono condividere. Angeli che hanno bisogno di aiuto, perché ogni angelo deve avere un angelo che ne custodisca il dolore. Angeli che fanno grandi imprese immersi nel silenzio, consapevoli del danno che l’eccessiva attenzione può fare, masticando e divorando e poi subito dimenticando.
Quando l’idea è nata, cresce. Mette rami e foglie, fiori e frutti e diventa ingombrante nell’angusto spazio della mente in cui ha messo le sue radici. Si arriva al punto che non è più in alcun modo ignorabile. Al commensale curioso racconterei volentieri dei pezzi di frase, delle scene e dei pensieri che attraversano sempre più impellenti le notti e i pomeriggi, distraendo da quello che si sta facendo e costringendo ad assumere un’aria svagata che fa sembrare stupidi. Ma se si ha la fortuna di avere una serie, e di poter disporre di una squadra di angeli scalcinati e mezzi rotti, ma pur sempre angeli, allora l’idea trova casa e può espandersi come si deve.
I Bastardi di Pizzofalcone sono il posto giusto per raccontare di angeli, questo è certo. E si può metterli al lavoro attorno a un angelo vittima, a un angelo ferito e maltrattato, a qualcuno, anzi più d’uno, che sembra un angelo ma non lo è. E loro stessi hanno rivelato, opportunamente stimolati, la loro natura di angeli imperfetti, ciascuno portatore della propria personale dannazione e tuttavia determinato a provare a rendere un po’ migliore il mondo.
Non so da dove verrà la prossima idea: magari è già arrivata e sta riposando nel caldo del mio inconscio. Di questi miei angeli però sono molto contento. E gli auguro di cuore buon volo, con un’ala sola.
In un’epoca in cui il protagonismo è la regola, in cui l’egocentrismo sollecitato dai social network ha fatto sì che ognuno coltivi la propria personalità, gli angeli hanno un ruolo ancora più importante