«Empatia e diritti» Chimamanda infiamma il Lingotto
TORINO Sembra tutto come sempre, ma allo stesso tempo è come se fosse la prima volta: le code all’ingresso, le persone che non riescono a entrare agli incontri (anche se le sale sono a capienza piena), gli improvvisi assembramenti. Certo, con mascherina e green pass, ma pare di essere tornati al 2019. Forse perché il Salone del libro ieri è ripartito da lì, con un incontro, quello con Halina Birenbaum, sopravvissuta alla Shoah, che allora fu al centro della feroce polemica contro la presenza del marchio di destra Altaforte e che ieri ha parlato in uno dei primi eventi.
Entusiasmo, commozione e una parola su tutte — ripartenza — hanno segnato il momento della inaugurazione con Chiara Appendino al suo ultimo Salone da sindaca e Alberto Cirio al suo primo ufficiale da governatore della Regione; con i ministri Patrizio Bianchi (Istruzione) e Dario Franceschini (Cultura) a certificare un’apertura simbolica per tutti, ma anche a ricordare le «molte risorse» spese dal governo nei momenti più drammatici della pandemia. Franceschini ricorda la scelta di tenere aperte le librerie in zona rossa, considerandole servizi essenziali come ospedali e supermercati, così come lo stanziamento di 30 milioni (poi rifinanziati) per sostenere le biblioteche che acquistano i volumi dalle librerie del territorio e auspicato l’approvazione della nuova legge sul libro entro la fine della legislatura. Ha parlato la politica, ha risposto la letteratura. Lo ha fatto con Chimamanda Ngozie Adichie, la scrittrice nigeriana-americana che da Einaudi ha appena pubblicato Appunti sul dolore, a cui Nicola Lagioia ha affidato l’inaugurazione di quella che ha definito con comprensibile orgoglio «la prima fiera editoriale mondiale post-Covid». Il direttore è in scadenza, ma i tempi stretti fanno sì che il prossimo Salone, a maggio, sarà ancora suo.
In un lungo abito color albicocca, acclamata come una star e inseguita da uno stuolo di giovani lettrici, Adichie ha legato la letteratura ai temi del femminismo e dei diritti che le sono cari, ricordando che il Covid-19 ha esasperato le diseguaglianze, la «faglia della nostra società», in particolare quella di genere che ha, come estrema conseguenza, la violenza sulle donne. «Dobbiamo passare dall’io, io, io al noi, noi, noi» ha detto, accennando al «nazionalismo insidioso» che fa chiudere i Paesi anche quando il virus dimostra di non conoscere confini. «Pensiero critico e empatia» è ciò che per la scrittrice bisogna recuperare e la letteratura è il luogo dove questi valori possono incontrarsi perché «leggere è come vivere nel corpo di un altro». «Nel mio mondo post-Covid ci sono più uomini che leggono libri scritti da donne» ha detto, raccontando dell’amico europeo che le chiede copie del libro di Michelle Obama da regalare a tutte le sue amiche. «Perché non anche agli amici maschi?» chiede lei. Oltre a sognare un mondo post-Covid «senza social media e senza algoritmi», Chimamanda Ngozie Adichie sogna «un mondo in cui ci sia equilibrio, in cui si ripensi il capitalismo e si smetta di usare la crescita economica come unica misura del successo, ma si consideri il benessere umano».