CINQUANT’ANNI DI LIBERTÀ IN SCENA
IL COMPLEANNO DEL TEATRO DUE DI PARMA «L’AUTONOMIA È UN SUCCESSO DI SQUADRA»
Nato come la Compagnia del Collettivo, da gruppo di teatro di denuncia è diventato un esempio artistico e gestionale nel panorama degli Stabili (la sede dispone di ben dieci palcoscenici) Tra esperienze internazionali e un forte radicamento nel territorio
«La storia del Teatro Due di Parma non è solo quella di un manipolo di visionari, ma anche la storia del teatro italiano, oltre che quella di una città e della sua comunità». Paola Donati, direttrice artistica di Teatro Due, sta lavorando senza sosta per la ripartenza del teatro che, questo mese, festeggia anche i suoi primi cinquant’anni.
«Abbiamo appena debuttato con una nostra nuova produzione — racconta Donati —, Un figlio del nostro tempo, dal romanzo di Ödön von Horváth, un lavoro creato da Lucrezia Le Moli. Il prossimo debutto sarà in novembre, In teatro non si muore, l’ultima creazione di Gigi Dall’Aglio, scomparso nel dicembre scorso. Lo spettacolo, pronto già nell’ottobre di un anno fa e poi bloccato dall’emergenza Covid, è tratto da una sceneggiatura che Gigi aveva scritto tempo addietro, in cui risuona però forte molto del nostro presente».
Al centro delle trame c’è una compagnia di attori sul lastrico, costretti a riconvertire il proprio teatro in una impresa di pompe funebri. «A ogni “cliente” propongono, a seconda di quello che loro intuiscono essere il carattere del defunto, un pezzo di teatro. È uno spettacolo — riflette la direttrice — che tra le righe parla anche dei rituali mancati durante la pandemia, ma lo fa in modo lieve e poetico, attraverso un puro gioco teatrale».
L’avventura di Teatro Due, una casa, dice Donati, «dove la “protezione” e la cura favoriscono la libertà di mettersi in gioco, di rischiare, di poter sbagliare e ricominciare», comincia negli anni a cavallo tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta. «La Compagnia del Collettivo, nata nel 1971, con la collaborazione del regista croato Bogdan Jerkovic, porta il teatro dove il teatro non c’è, fuori dai “mausolei” della rappresentazione. Parchi, piazze, quartieri di periferia, carceri sono i palcoscenici su cui gli attori si esibiscono. Reinterpretano autori come Eduardo De Filippo, Pier Paolo Pasolini, Dario Fo, facendo un teatro politico il cui obiettivo è la denuncia del potere e il suo abbattimento».
In poco meno di un decennio le cose però cambiano, il teatro di denuncia subisce una pausa di arresto. Le amministrazioni comunali pre
Nel 1971
Parchi, piazze, quartieri di periferia, carceri: qui si esibivano gli attori del primo periodo
La direttrice artistica
Paola Donati: «Ancora oggi ci si confronta tutti insieme sull’intera filiera di creazione»
feriscono un intrattenimento politicamente più «blando», dai grandi concerti agli spettacoli con personaggi televisivi.
Per la Compagnia del Collettivo è tempo di cercare una casa. «Una sede stabile dove svolgere la propria attività, che si riversa poi naturalmente sul territorio — osserva la direttrice —. Un teatro d’arte che si pone come alternativa al sistema vigente, che gira per i grandi festival europei pur mantenendo una forte identità territoriale». Cinquant’anni dopo, quel progetto conserva intatta «la centralità della progettualità artistica — che non ha mai riguardato solo il palcoscenico, gli spettacoli, ma anche la creazione di uno spazio adeguato: Teatro Due è l’unico in Europa ad avere dieci spazi di rappresentazione di dimensioni diverse e un centro di sperimentazione libero dalla politica — e l’autonomia. Infatti la
Fondazione Teatro Due, nata nel 2001 dalla evoluzione del Teatro Stabile di Parma in cui era confluita la Compagnia del Collettivo, mantiene questa possibilità di funzionamento, garantendo comunque alla zona pubblica il controllo della parte economica».
Altro punto fermo del progetto originario è rimasta l’organizzazione — per la parte artistica, va ricordato che l’Ensemble di Teatro Due è l’unico gruppo di attori in Italia impegnato continuativamente in un teatro Stabile. Un privilegio che comporta molte responsabilità oltre a una consistente mole di lavoro.
«Si lavora in team — puntualizza
Donati — su modello della “vecchia cooperativa”. Esistono ruoli e competenze, c’è però un modo di funzionare in squadra che è più simile alle équipe scientifiche che non all’organizzazione gerarchica di un teatro. Ci si confronta molto su tutta la filiera di creazione, un dialogo aperto che va dall’ideazione alla realizzazione di scene, costumi, grafica. Come se tutti fossero anche dei solisti in questa nostra orchestra da camera. La sfida dei prossimi cinquant’anni, per chi verrà, sarà di mantenere vivi gli stessi sogni e utopie».