Corriere della Sera

Tornare alla normalità?

- Di Alessandro D’Avenia

Perché Alexander Romanovsky, uno dei giovani pianisti più noti al mondo, ha suonato Chopin davanti all’Istituto tumori di Milano o nell’atrio di un carcere di Brescia? Perché è normale. Nato in Ucraina, ha studiato e vive in Italia da quando ha 13 anni. Dal momento che le norme di sicurezza gli hanno impedito di esibirsi nelle sale da concerto, si è inventato un «piano b»: girare l’Italia (a luglio e agosto scorsi) in un furgone con il suo piano e un piccolo palco per 42 concerti gratuiti all’aperto e in sicurezza. Alexander ha ottenuto dalle amministra­zioni locali un’ora di suolo reso veramente «pubblico» (la bellezza rende «di ciascuno» le cose «di nessuno») e ha suonato sotto stelle estive, senza tregua, in luoghi molto eterogenei, oltre ai già citati: dal teatro di Segesta al molo dei pescatori a Monterosso, dallo Spasimo di Palermo a un campo di grano a Vallaspra, da un cortile di Torino a una piazza di Napoli... Ha chiamato questo progetto, per l’appunto, Piano B: una risposta innovativa e generosa all’impossibil­ità di suonare in sale e teatri solo per pochi. Mi piace pensare che quella B stia anche per Bellezza, quella che «salverà il mondo», ma solo se si intende che il principe Miškin, protagonis­ta dell’Idiota di Dostoevski­j, nel dire queste parole tanto abusate quanto fraintese, si riferisce al bello del bene: un’azione gratuita che, nel quotidiano, cura la vita ferita, come fa Cristo, di cui il principe è una immagine commovente.

A maggio scorso, durante una cena, ho visto negli occhi di Alexander e di sua sorella Tatiana, che lo ha aiutato impegnando le sue vacanze estive, il coraggio di chi non aspetta un «ritorno alla normalità» ma «fa la normalità»: la storia non torna indietro ma offre occasioni per sfide creative. Il Sapiens si è affermato sul Neandertal perché di fronte all’ignoto osava: la vita «normale» è esplorazio­ne. Alexander non ha rinunciato ma ha osato, rendendo «ambulante» il suo pianoforte. Piano B è il frutto della collaboraz­ione tra talento personale, mecenati e amministra­zioni locali, in una «social catena», direbbe Leopardi, che è difesa dalle sventure e vera azione politica, disattesa spesso da governanti attenti al potere come sostantivo più che come verbo di servizio. Il pianista si è rivolto a sindaci, direttori di ospedali, carceri, associazio­ni, e alcuni hanno risposto alla chiamata offrendo alle loro comunità un gesto salutare, aggettivo che ha la stessa radice di salvezza: la bellezza dà salute e salvezza perché, solo quando facciamo esperienza della gratuità, lo spirito (che è la fame di nascere un po’ di più ogni giorno) diventa più capace d’amore e d’azione. Alexander mi ha ricordato il ruolo politico (per la polis: la comunità intera) della bellezza in un Paese che ne ha la vocazione, ma sceglie di chiudere scuole e teatri per mesi invece di trovare soluzioni innovative, investe in banchi a rotelle invece di assumere più insegnanti per ridurre il sovraffoll­amento delle classi. Alexander assomiglia a un personaggi­o del capolavoro di Luis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte, che nel 1932 smascherav­a con grottesca e scandalosa lucidità l’inferno creato dall’evolutissi­mo uomo moderno: guerra, colonialis­mo, schiavitù industrial­e, periferie poverissim­e, violenza domestica... Nella notte simbolica del cuore umano che grava su tutte le vicende narrate, brilla — seppur a lume di candela — un’eccezione: Alcide. Fernand, protagonis­ta del romanzo, rimane colpito da questo giovane uomo che impegna tutto le sue forze in un lavoro durissimo, che gli permette però di pagare gli studi alla piccola nipote rimasta improvvisa­mente orfana: «Alcide faceva evoluzioni nel sublime come se fosse casa sua, per così dire con familiarit­à, dava del tu agli angeli, ‘sto ragazzo, e aveva l’aria di niente. Offriva a quella ragazzina lontana tanta tenerezza da rifare il mondo intero e questo non si vedeva. S’addormentò di colpo, alla luce della candela. Mi alzai per guardare bene i suoi tratti alla luce. Dormiva come tutti. Aveva l’aria proprio normale».

Il mondo lo salverà la tenerezza, che è bellezza fatta «mani». Alexander ha sfidato la burocrazia che oggi soffoca l’iniziativa personale, e con le sue mani ha toccato le corde del piano e quelle dei cuori: musicofili, passanti, malati, carcerati... tutti, senza distinzion­e. Se lo incontri, Alexander, come Alcide, «ha l’aria proprio normale», aggettivo che viene da «norma»: lo strumento a squadra usato dagli operai per costruire un muro dritto. Questa è la normalità a cui voglio tornare, quella fatta da uomini e donne che, in pace o in guerra, continuano a edificare l’umano e moltiplica­no la vita attorno a loro là dove vivono: con il loro lavoro ben fatto — «la norma di sicurezza» a cui si attengono è la fedeltà alla loro chiamata — uniscono le forze di molti e le mettono al servizio di tutti.

Il pianista Alexander ha osato, e così ci ricorda il ruolo politico della bellezza

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