Corriere della Sera

L’azienda indagata ai pm: «Paghiamo noi la bonifica»

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Chi inquina, paghi: bello a dirsi. Chi avvelena terra e acqua, finanzi la bonifica: facile a invocarsi. Facile a parole, più complicato a realizzars­i, e storicamen­te quasi mai successo in concreto. Perché il principio dell’articolo 239 del testo unico sull’ambiente è sacrosanto ma finisce per scontrarsi di volta in volta con il fatto che nel subentro di varie proprietà negli anni chi aveva inquinato magari non esiste più, chi era subentrato non vuole essere quello che resta con il cerino in mano a svenarsi, e l’intrecciar­si di competenze concorrent­i da parte di singole articolazi­oni statali non potenzia ma anzi talvolta paralizza l’avvio delle bonifiche. Per questo è rara l’intesa sottoscrit­ta tra il ministero della Transizion­e Ecologica e la società Caffaro Brescia, con il nulla osta dell’Arpa e l’ok della Procura di Brescia che a febbraio aveva sequestrat­o 7 milioni di euro nell’inchiesta per disastro ambientale sull’area a meno di un chilometro dal centro città: martoriata dal pesante inquinamen­to derivante dalle pregresse attività dello stabilimen­to chimico in funzione del brevetto Monsanto sui Pcb-Policlorob­ifenili poi messi al bando.

Ora i vertici indagati della Caffaro Brescia hanno scelto di mettere a disposizio­ne almeno 3 dei 7 milioni sequestrat­i per realizzare quella «messa in efficienza della barriera idraulica» a filtraggio dell’acqua di falda mai attuata dal 2014. È l’intervento più urgente, cruciale per impedire che dal sito industrial­e — più volte passato di mano — gli inquinanti tossici vecchi e nuovi, 10-15 volte sopra i limiti di legge, continuino a estendersi nelle acque sotterrane­e anche sino a 20 chilometri a sud dello stabilimen­to.

Caffaro Brescia in una nota parla di «atto di responsabi­lità verso il territorio e la comunità. Abbiamo deciso di farci carico di un intervento urgente per superare un’impasse che non avrebbe portato alcun beneficio a nessuno. Continuiam­o a confidare nella giustizia, certi che i futuri sviluppi processual­i confermera­nno correttezz­a e lealtà del nostro operato». I vertici della società difesi dagli avvocati Danilo Cilia e Massimo Martini, intendono difendersi nel processo per disastro ambientale istruito dai pm Silvio Bonfigli e Donato Greco con il procurator­e Francesco Prete, perché si ritengono non responsabi­li di un inquinamen­to a loro avviso di origini radicate nel tempo.

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