L’azienda indagata ai pm: «Paghiamo noi la bonifica»
Chi inquina, paghi: bello a dirsi. Chi avvelena terra e acqua, finanzi la bonifica: facile a invocarsi. Facile a parole, più complicato a realizzarsi, e storicamente quasi mai successo in concreto. Perché il principio dell’articolo 239 del testo unico sull’ambiente è sacrosanto ma finisce per scontrarsi di volta in volta con il fatto che nel subentro di varie proprietà negli anni chi aveva inquinato magari non esiste più, chi era subentrato non vuole essere quello che resta con il cerino in mano a svenarsi, e l’intrecciarsi di competenze concorrenti da parte di singole articolazioni statali non potenzia ma anzi talvolta paralizza l’avvio delle bonifiche. Per questo è rara l’intesa sottoscritta tra il ministero della Transizione Ecologica e la società Caffaro Brescia, con il nulla osta dell’Arpa e l’ok della Procura di Brescia che a febbraio aveva sequestrato 7 milioni di euro nell’inchiesta per disastro ambientale sull’area a meno di un chilometro dal centro città: martoriata dal pesante inquinamento derivante dalle pregresse attività dello stabilimento chimico in funzione del brevetto Monsanto sui Pcb-Policlorobifenili poi messi al bando.
Ora i vertici indagati della Caffaro Brescia hanno scelto di mettere a disposizione almeno 3 dei 7 milioni sequestrati per realizzare quella «messa in efficienza della barriera idraulica» a filtraggio dell’acqua di falda mai attuata dal 2014. È l’intervento più urgente, cruciale per impedire che dal sito industriale — più volte passato di mano — gli inquinanti tossici vecchi e nuovi, 10-15 volte sopra i limiti di legge, continuino a estendersi nelle acque sotterranee anche sino a 20 chilometri a sud dello stabilimento.
Caffaro Brescia in una nota parla di «atto di responsabilità verso il territorio e la comunità. Abbiamo deciso di farci carico di un intervento urgente per superare un’impasse che non avrebbe portato alcun beneficio a nessuno. Continuiamo a confidare nella giustizia, certi che i futuri sviluppi processuali confermeranno correttezza e lealtà del nostro operato». I vertici della società difesi dagli avvocati Danilo Cilia e Massimo Martini, intendono difendersi nel processo per disastro ambientale istruito dai pm Silvio Bonfigli e Donato Greco con il procuratore Francesco Prete, perché si ritengono non responsabili di un inquinamento a loro avviso di origini radicate nel tempo.