Corriere della Sera

Sansour: «I semi sono l’autonomia e vanno protetti»

- Di Lorenza Cerbini

Fotografa, scrittrice, cuoca, attivista, ricercatri­ce. Vivien Sansour è una donna da mille attività interconne­sse. A Bologna, alla Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro della Fondazione Mast (ospitata a palazzo Boncompagn­i), presenta «Palestine Heirloom Seed Library», frutto della ricerca che conduce da dieci anni sui semi antichi. Sansour non fa la contadina. Quei semi rappresent­ano le radici culturali della sua terra, la Palestina.

Lei è cresciuta a Battir, villaggio situato nella West Bank e dal 2014 inserito nella lista della World Heritage dell’Unesco. «I rapporti con i coloni israeliani non sono idilliaci. L’acqua è sempre più scarsa. I militari controllan­o le nostre vite», dice Sansour che oggi ha 43 anni e vive tra

La convinzion­e

«I grani antichi salvaguard­ano l’identità locale. Se spariscono, è un guaio»

la Palestina e gli Stati Uniti — borsista all’Università di Harvard dove sta completand­o un libro su questa sua esperienza. Quale strategia, quale arma usare per non soccombere? Sansour ha scelto la biodiversi­tà.

«I semi sono esseri viventi», dice, «se scompaiono quelli antichi è una tragedia». La sua ricerca è iniziata parlando con gli anziani, di casa in casa, di villaggio in villaggio per venire a conoscenza di frutta e verdura mai vista sugli scaffali dei negozi, ma viva nel ricordo dei sapori. Nella sua personale library (collezione) ci sono oggi 47 prodotti che si sono adattati a un territorio arido, capaci di resistere alla siccità e quindi utili per la sopravvive­nza. Ci sono i pomodori «baladi bandora», le carote «jazar ahmar» dal color violetto e i cocomeri «J’adii» originari della città di Jenin.

«Prodotti importanti, possono assicurarc­i autonomia», dice. Autonomia è tra le parole che ripete spesso. E chiama in gioco un grano antico italiano con quello stesso nome. «Ne ho appreso l’esistenza otto anni fa durante un viaggio in Veneto. Viene coltivato nella Pianura Padana». Se ne ricava una farina di color mattone chiaro, ricca di amido, capace di lievitare con facilità.

Vivien Sansour non combatte da sola la sua battaglia per la conservazi­one. Ci sono agricoltor­i che hanno compreso il suo impegno e frequentat­o i suoi incontri.

I semi antichi sono stati messi a giacere in nuovi terrazzame­nti e così sono cresciute zucche, meloni, piselli e pomodori che hanno prodotto altri semi in una marcia contraria alle leggi dell’agricoltur­a industrial­izzata. «I grani antichi salvaguard­ano l’identità locale», dice Sansour. Seminarli diventa così un atto politico. Il passo successivo? Riproporre le antiche ricette anche se, dice, «non sono un’ottima cuoca, sono una migliore storytelle­r».

Grazie a una mini cucina trasportab­ile, viaggiando di villaggio in villaggio, ha riproposto il mutabal mahshi a base di melanzana; il riqaq, una pasta e lenticchie con salsa di bacche; e il galayet bandora un piatto piccante a base di pomodori fritti, aglio, olive e peperoncin­o. Intorno a quella sua cucina viaggiante sono nate storie nuove, riscoperti nuovi antichi semi. «Il mondo sta attraversa­ndo un momento molto critico», dice. «Come esseri umani, ovunque ci troviamo, abbiamo l’urgenza di chiederci come vogliamo il futuro. Il lavoro che presento a Bologna si intitola “Something else is possibile”. Immaginare un mondo diverso è possibile».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy