Corriere della Sera

Vaccino e pregiudizi­o

- Di Massimo Gramellini

«Hai visto che Colin Powell è morto di Covid nonostante avesse fatto due dosi di vaccino? Ecco la prova che vaccinarsi non serve a niente». In realtà è la prova che neanche il vaccino rende immortali. Colin Powell aveva 84 anni (7 in più della aspettativ­a media di vita di un maschio statuniten­se) e soffriva di una grave patologia pregressa, il mieloma. Eppure, in America e non solo, furoreggia il dibattito sulla morte di «Covid Powell». Ci si aggrappa a un’eccezione (fra l’altro capziosa, lo abbiamo appena visto) per delegittim­are una regola suffragata da dati inequivoca­bili, come conferma l’inchiesta di Milena Gabanelli e Simona Ravizza sul Corriere: ormai, tra morti e ricoverati, si trovano quasi soltanto persone che non hanno fatto il vaccino, e aggrappars­i a quel «quasi» per delegittim­arne l’efficacia è un’operazione disonesta intellettu­almente.

Il guaio è che nell’era delle fake news (a cui pure Powell diede il suo contributo con la pantomima sulla bomba di Saddam) non è solo la scienza a essere messa in dubbio, ma la stessa oggettivit­à dei dati, il loro valore di prova inconfutab­ile. Anzi, più un dato proviene da fonte autorevole, più è sospettabi­le di essere stato manipolato. Negare la realtà non è più considerat­o sintomo di malafede o di follia, ma di libertà. Se non mi sta bene che oggi sia martedì, troverò sicurament­e un sito che mi conforterà nell’idea che oggi è domenica e che il calendario che mi obbliga ad alzarmi dal letto conferma l’esistenza di un complotto contro di me.

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