«Qualcuno non ci ha creduto» Ora Damilano scarica i partiti
L’uomo del centrodestra partito favorito accusa le forze locali e annuncia: in Consiglio comunale con le mie due civiche, rappresenterò gli astenuti
Era iniziato come un grande amore. È finito con un rapido divorzio. Il candidato di centrodestra a Torino, Paolo Damilano, era l’unico sul quale la coalizione formata da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia è sempre stata compatta. Ma il giorno della sconfitta, l’allontanamento iniziato in campagna elettorale è diventato lacerazione: «Se i leader nazionali mi hanno aiutato, i partiti locali sono stati pigri». Imprenditore, 55 anni, Damilano era stato indicato dal ministro allo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, che avrebbe voluto vederlo correre già alle Regionali di due anni fa al posto di Alberto Cirio. Poi sono arrivate le Amministrative, e mentre a Roma gli alleati cercavano di comporre il puzzle delle città, il civico a trazione leghista lanciava la sua campagna elettorale con la propria lista Torino Bellissima. Per diventare il candidato di tutto il centrodestra.
Una partenza in netto anticipo rispetto agli avversari che gli è valsa il vantaggio nei sondaggi. Ma non lo stesso risultato al primo turno. Ed è lì che qualcosa ha iniziato a incrinarsi. Perché se la sua civica ha fatto un risultato definito da Damilano stesso «straordinario», quell’11% che gli è valso il titolo di seconda forza politica della città, lo stesso non è stato per i partiti. I fratelli sono arrivati secondi, mentre la Lega ha perso 17 punti percentuali dalle Regionali del 2019, colpiti più di tutti da un astensionismo storico.
E così dal 4 ottobre a ieri, la campagna elettorale dell’imprenditore si è avvolta su se stessa. Da una parte, il civico ha provato in tutti i modi a puntare sul proprio volto, a sottolineare l’indipendenza dai partiti, a mostrarsi uomo «moderato e liberale». Tanto da promettere continuità sul fronte dei diritti, come sulla trascrizione dei figli delle coppie omogenitoriali iniziata dalla sindaca uscente Appendino. Dall’altra, Lega e FdI hanno iniziato a chiedere posizioni più nette: «Dovresti dire cose più di destra». Qualche giorno dopo, il candidato era davanti ad un campo rom a promettere il sequestro delle roulotte abusive. «Damilano», spiega il deputato di Coraggio Italia Osvaldo Napoli, «ha cercato fino all’ultimo di tenersi lontano dall’abbraccio dei partiti: se i leader nazionali lo avessero assecondato avrebbe avuto più consensi».
La promessa di legalità nelle periferie e le passeggiate nei mercati (sempre da solo) non hanno però convinto i quartieri più difficili e gli astenuti. Anzi. Al ballottaggio il centrodestra ha perso 8 mila voti, ed è uscito sconfitto anche nelle due Circoscrizioni dove aveva vinto due settimane fa. Con un’affluenza che si è abbassata dal 48 al 42%. «Qualcuno non ci ha creduto», ribadisce. E manda le carte del divorzio, promettendo di andare avanti per la propria strada: «Mi siederò all’opposizione in Consiglio comunale, unendo le mie due civiche per un progetto che guardi a lavoro, decoro e sicurezza. Voglio provare a rappresentare il partito degli astenuti, di quella Torino che ha smesso di lottare. E collaborerò con il vincitore per il bene della città». Ma a rispondergli a tono è la deputata di FdI Augusta Montaruli: «Credo sia un errore o una caduta di stile dettata da una comprensibile delusione». E se il commissario provinciale della Lega Alessandro Benvenuto sottolinea come da parte loro ci sia stato «grande aiuto nelle periferie», il leader regionale di FI Paolo Zangrillo è secco: «Comprendo la delusione perché ha impiegato molte energie. La sua lista ci ha tolto voti, ma noi lo abbiamo fatto per il risultato finale».
Se i leader nazionali mi hanno aiutato, i partiti locali sono stati pigri Mi siederò all’opposizione, da dove lavorerò per occupazione, decoro e sicurezza