Tante offerte dai politici «Quella di Benotti era la più conveniente»
Il manager: basito più di voi per la provvigione
ROMA «Eravamo disperati», c’era una «guerra commerciale devastante», bisognava trovare voli cargo senza scali «per non rischiare che le mascherine venissero bloccate in un altro Paese». In questo clima da «tragedia» descritto da lui stesso sabato scorso ai pubblici ministeri, l’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri rivendica i risultati raggiunti. E in oltre tre ore di interrogatorio, seduto al fianco dell’avvocata Grazia Volo, ricorda che in quei mesi erano in tanti a proporsi come procacciatori di forniture milionarie.
Quando gli chiedono perché ha accettato l’offerta arrivata da Mario Benotti, sponsor di una ditta cinese, Arcuri risponde: «Mi spiego con alcuni esempi. Il senatore Mallegni (di Forza Italia, ndr), mandò un’offerta per mascherine Kfn4, con consegna in Corea, escluso il costo di trasporto, al prezzo di 80 centesimi cadauna... Non essendo stato sottoscritto il contratto, è diventato ospite fisso di trasmissioni televisive». Quelle dove si contestava l’operato di Arcuri, lascia intendere l’ex commissario, che porta altri casi: «Il senatore Malan (oggi Fratelli d’Italia, ndr) tramite Enzo Saladino offre mascherine lavabili, ma il Cts risponde che non sono nemmeno valutabili»; di fronte ad altre proposte rifiutate «Malan inizia una schiera numerosa di interrogazioni parlamentari».
L’elenco di Arcuri prosegue con il deputato Mattia Mor, di Italia viva, che «presenta offerta di due signori cinesi» da 55 centesimi per ogni mascherina escluso il trasporto dalla Cina, passa per le già note iniziative dell’ex presidente della Camera Irene Pivetti e arriva «all’onorevole Meloni (la leader di FdI, ndr) che il 22 e il 27 marzo è in copia all’offerta di tale Pietrella», inviata per email con richiesta di mezzo pagamento anticipato e costo del trasporto a carico del governo; un ruolo di semplice presentatrice di un imprenditore che sosteneva di poter aiutare nell’emergenza, come Mor.
«Tutte queste proposte — si difende Arcuri — sono risultate largamente meno vantaggiose di quella di Benotti». Prima consegna rapida, il 29 marzo 2020, con «prodotto sdoganato dalle Dogane, competenti al controllo, e progressivamente validato dal Comitato tecnico scientifico». Il quale, aggiunge Arcuri, ha approvato poco più della metà delle forniture sottoposte a verifica: 199 su 384, tra cui quelle di Benotti.
Il problema è che il giornalista-imprenditore e i suoi soci hanno intascato una provvigione da 12 milioni di euro, e Arcuri dice ai pm: «L’importo noto mi lascia basito forse più di voi». Nell’ipotesi dell’accusa, l’ex commissario sarebbe stato consapevole della «cresta» che toccava a Benotti, accettando per questo di pagare un prezzo più alto ai cinesi. Di qui l’eventuale peculato. Mentre l’abuso d’ufficio deriverebbe dal non aver fatto un regolare contratto ai mediatori. «Per me erano dei promotori o procacciatori d’affari che operavano nell’interesse delle aziende esportatrici. Non avevo necessità di mediatori. Avevo fatto divieto di sottoscrivere contratti con soggetti diverse dalle aziende. E non si pagano acconti a nessuno, neppure sotto tortura».
Quanto all’avvio dell’affare Arcuri precisa: «Non sono stato io a chiedere aiuto a Benotti ma lui a proporsi, come molti altri». L’ha conosciuto come «professore» quando collaborava con l’ex ministro delle Infrastrutture Delrio e indicato come «particolarmente vicino alla segreteria di Stato vaticana». Diceva di poter favorire persino il salvataggio dell’Alitalia: «Era uno dei tanti che popolano gli interstizi del potere politico economico italiano, un po’ ministero e un po’ Vaticano».
Il 21 marzo gli parla della fornitura e Arcuri risponde di inviare una proposta alla struttura: «Da quel momento Benotti e i suoi collaboratori interagiscono con le persone della struttura, e iniziano una trattativa del cui sviluppo io non so nulla». Ma, nella ricostruzione di Arcuri, l’imprenditore continua a cercarlo con insistenza; fra l’altro per portarlo alla segreteria di Stato vaticana. «Iniziò a essere eccessivamente dilagante e importuno, percepivo che stesse esagerando e ho scelto di allontanarlo». S’incontrarono il 5 maggio. Benotti ha raccontato che Arcuri gli svelò un’indagine dei servizi segreti sulla sua fornitura, ma Arcuri nega: «Ho cercato educate e gentili ragioni per fargli comprendere che non avevo tempo per quanto mi proponeva. Non ho mai pronunciato le parole “servizi” o “indagine”».