Corriere della Sera

«La sfida è il vaccino universale contro tutti i coronaviru­s»

- Di Viviana Mazza

«Non è il momento di dormire sugli allori. Ora che produciamo globalment­e grandi quantità di vaccini — a fine anno saremo arrivati a 12 miliardi di dosi — e lentamente iniziamo a raddrizzar­e le diseguagli­anze nella loro distribuzi­one, ci sono sfide che indicano il bisogno di investire nella ricerca. Gli obiettivi: ottimizzar­e i vaccini di cui disponiamo, ma anche sviluppare vaccini di seconda e terza generazion­e che siano sia resistenti alle varianti che più facili da somministr­are e per esempio non richiedano la refrigeraz­ione. Dobbiamo investire per restare un passo avanti al virus». Parla l’americano Richard Hatchett, già alla Casa Bianca con George W. Bush e poi con Barack Obama, oggi amministra­tore delegato di Cepi (Coalition of Epidemic Preparedne­ss Innovation), partnershi­p di soggetti pubblici e privati che co-gestisce Covax (con Oms e Gavi) per l’equa distribuzi­one dei vaccini ed è supportata dal G20 sul tema della preparazio­ne alle epidemie del futuro. Cepi, che ha aiutato a finanziare l’iniziale sviluppo dei vaccini contro Covid-19, punta a raccoglier­e 3,5 miliardi di dollari per la riduzione del rischio epidemico e pandemico globale.

A che punto siamo nello sviluppo di vaccini di nuova generazion­e?

«Cepi ha aperto alle proposte per un vaccino che protegga dai betacorona­virus, cioè non solo da SARS-CoV-2 ma da Sars, Mers e altri coronaviru­s che emergerann­o in futuro. Stiamo per decidere quali proposte appoggiare. Cepi ha già investito in alcuni vaccini di seconda generazion­e: non li avremo nel 2021; se siamo fortunati nel 2022. Oltre ad occuparci delle nuove varianti, c’è l’obiettivo di sviluppare vaccini più semplici da somministr­are, che non necessitin­o di una rigorosa catena del freddo o che prevedano una singola dose. Con l’Università di Hong Kong abbiamo investito in un vaccino per via nasale, che possa bloccare la trasmissio­ne del virus attraverso l’immunità della mucosa, proteggend­o le vie aeree superiori. Questa è solo un’idea. Stiamo per annunciare un programma per un vaccino che includa altre parti del virus SARS-CoV-2, non solo la proteina spike ma un repertorio antigenico più vasto».

Perché questo è impor tante?

«Tutti i vaccini che abbiamo al momento usano questa proteina spike ma ci sono molte mutazioni in quella parte del virus, perciò dobbiamo sviluppare vaccini che non siano suscettibi­li a piccoli cambiament­i nella proteina spike o nel dominio legante del recettore: è necessario un diverso approccio concettual­e in modo da anticipare anziché inseguire il virus».

È possibile che si arrivi ad un vaccino universale contro tutti i coronaviru­s?

«Diversi virologi pensano che possa essere più facile arrivare ad un vaccino universale contro i coronaviru­s rispetto ad un vaccino universale per l’influenza, che non abbiamo ancora. Se ci riuscissim­o, i coronaviru­s non sarebbero più una minaccia. E il Covid non è certo il peggiore: quando lavoravo per la Casa Bianca di Bush, i Centers for Disease Control and Prevention emanarono un indice di gravità delle pandemie modellato su quello degli uragani, con cinque categorie, basate sulla letalità e sul numero di vittime: il Covid è solo categoria 2 o 3 in questo modello. Sappiamo che esistono altri coronaviru­s di tipo Sars e Mers con tasso di letalità 2050 volte maggiore del Covid, quindi penso che sia davvero importante la ricerca di un vaccino universale. Abbiamo la prova che è possibile ottenere un vaccino universale per una famiglia virale, per esempio quello che usiamo contro il vaiolo protegge contro tutti gli Orthopoxvi­rus».

Come dobbiamo immaginarc­i il futuro: continui richiami di vaccino contro i coronaviru­s?

«Alcuni vaccini forniscono immunità per tutta la vita, altri richiedono richiami ogni 10 o 5 anni, altri ancora come l’influenza sono annuali. Una possibilit­à è di avere richiami ogni 5-10 anni. Stiamo anche studiando l’approccio mix and match, cioè cosa succede se le persone usano un vaccino e fanno il richiamo con un altro: gli studi iniziali mostrano che mischiare, almeno in certe combinazio­ni, può generare una protezione più ampia. Nei prossimi anni ottimizzer­emo i vaccini che abbiamo già e forse in questo modo potremo raggiunger­e un’immunità di lunga durata, ma sono necessarie ricerche. Potenzialm­ente, esistono diverse strade per superare la situazione attuale di dover fare richiami ogni 6 mesi. Per questo dobbiamo continuare a investire nella ricerca e nello sviluppo, mentre allo stesso tempo ci assicuriam­o che i vaccini siano accessibil­i all’intera popolazion­e mondiale».

Ricerche in corso Vaccini per le varianti, ma anche più semplici da somministr­are, per via nasale o senza frigorifer­i

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Richard Hatchett guida la coalizione per la preparazio­ne alle epidemie del futuro
Il leader di Cepi Richard Hatchett guida la coalizione per la preparazio­ne alle epidemie del futuro

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