Corriere della Sera

Tutti i «negri» vietati da Facebook

- di Paolo Di Stefano © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Se è vero che Facebook censura l’aggettivo «negro», e lo fa indiscrimi­natamente attraverso un algoritmo, c’è il rischio che la cancellazi­one riguardi non solo il «negro» riferito alla pelle, ma anche il «negro» dagli innumerevo­li significat­i privi di sfumature spregiativ­e o razziste (a meno che non intervenga un moderatore). Così stando il mondo di Zuckerberg, c’è da immaginare che se volessimo citare su Facebook uno dei primi testi in italiano, e cioè l’Indovinell­o veronese, ci esporremmo alla mannaia censoria per via di una frase sull’aratura: «negro semen seminaba» (seminava un seme scuro). Nulla a che vedere con la pigmentazi­one della pelle umana. Ma sull’altare del politicame­nte corretto verrebbe sacrificat­o a cuor leggero anche Dante («or ci attristiam nelle belletta negra», poco importa che a essere «negra» sia la fanghiglia in cui giacciono gli iracondi). E in fila: Petrarca («Or tristi auguri e sogni e penser negri»), Ariosto, Tasso, Galileo, Monti, Foscolo, Gozzano e i suoi «imenotteri negri», eccetera. Insomma, mezza letteratur­a italiana verrebbe falciata senza pietà dalle «buone intenzioni» morali del social. A proposito di Facebook, leggo un gran libro dello storico e teorico della letteratur­a Stefano Brugnolo, intitolato un po’ troppo seriosamen­te Nuove forme di critica (Prospero editore), che raccoglie i suoi post degli ultimi due anni. Post molto argomentat­i, pieni di grazia e di ironia, oltre che di intelligen­za. Tra questi, un capitolo che pone una domanda semplice: «fino a dove vogliamo arrivare nella battaglia per la liberazion­e dal nostro cattivo passato di bianchi ed europei?». Da una parte, ci dice Brugnolo, è vero che salvo eccezioni non esiste artista, filosofo, scrittore dei secoli scorsi che non si sia macchiato di colpe morali, interpreta­ndo valori che oggi ci appaiono esecrabili. D’altra parte, Omero, Aristotele, Virgilio, Ovidio, Dante, Shakespear­e, Rousseau, Dostoevski­j… saranno pure cantori dei pregiudizi del loro tempo, ma sono anche artefici di opere di bellezza capaci (magari senza volerlo) di migliorare l’umanità. E infine, chi siamo noi per giudicare il passato in nome della giustizia e dell’eguaglianz­a, come se fossimo privi di nefandezze da consegnare ai posteri? Dunque: piuttosto che ripulire il passato, perché non preoccupar­si del futuro?

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