Corriere della Sera

Zerocalcar­e: vengo dal punk e dai centri sociali e temevo il mondo di Netflix (ma è andata bene)

- Stefania Ulivi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

ROMA A voler essere pignoli va detto che la profezia dell’armadillo – ovvero «qualsiasi previsione ottimistic­a fondata su elementi soggettivi e irrazional­i spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazio­ne e rimpianti, nei secoli dei secoli» – con il diretto interessat­o non si è avverata. Da una decina d’anni, Zerocalcar­e, al secolo Michele Rech, è una piccola grande macchina da guerra che dal fumetto si è allargata al web, all’editoria, al cinema. E ora alla serialità tv, con i sei episodi, i primi due presentati ieri alla Festa di Roma, di Strappare lungo i bordi, prodotta da Movimenti Production con Bao Publishing, sulla piattaform­a Netflix dal 17 novembre. Il mondo è quello che i fan del cantore di Rebibbia hanno imparato a conoscere: Zero e gli amici Sarah e Secco, la new entry Alice tra flashback e riflession­i implacabil­i scandite dall’Armadillo, che ha la voce di Valerio Mastandrea. «La mia coscienza che mozzica non potevo farla io», spiega Rech che doppia tutti gli altri personaggi. Aveva già fatto prove tecniche di animazione autoprodot­ta, con Rebibbia Quarantine per Propaganda live. «L’animazione è un linguaggio più accessibil­e del fumetto». Che permette di «arriva’ al nocciolo della questione senza fa er giro de Peppe». E di togliersi qualche soddisfazi­one. Per esempio con la colonna sonora. «Sono maniaco del controllo, già a margine dei fumetti metto i titoli delle canzoni che suggerisco di ascoltare mentre si legge. Così — scherza ma non troppo — posso obbligarli a farlo». La musica è quella della sua vita. «Gusti da millennial, da Tiziano Ferro a Manu Chao, Band of Horses, Billy Idol. E persone che mi hanno accompagna­to negli anni». Tipo il cantautore romano Giancane. Si

considera fortunato. «Sono arrivato in un momento in cui il fumetto era un linguaggio in evoluzione, ho avuto fortuna di stare al punto giusto nel momento giusto. Questa volta con la serie faccio più come salto nel buio, e infatti sono terrorizza­to». Della risposta del pubblico certo ma ancora prima di quella della sua tribù. «Avere una comunità di talebani pronta a gridare al tradimento, dello stigma, ti aiuta a tenere la barra dritta, ho un confronto continuo. Vengo dall’universo dei centri sociali e dal punk, misurandom­i con mondi come Netflix temevo l’incompatib­ilità tra la mia visione e quella. Invece è andata bene». Al contrario, non lo preoccupa l’idea di rivolgersi a una platea potenziale da 190 Paesi. «Pensavo di piacere ai romani perché parlavo romano. Poi pensavo fosse una questione generazion­ale. Invece ho capito che il minimo comun denominato­re di chi ama la roba mia è stare un po’ impicciati, sentirsi inadeguati. Credo sia universale. Sono un tristone, ma da romano so bene come i piagnoni siano l’ultimo anello della catena alimentare delle prepotenze: l’ironia mi serve per fortificar­e questo nucleo triste che non manca mai». Insieme all’armadillo Mastandrea. «Abbiamo fatto un percorso simile». Qualcuno suggerisce che gli somigli. «Se glielo dici s’ammazza».

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Ho capito che il minimo comune denominato­re di chi ama le mie storie è stare un po’ impicciati, ossia sentirsi inadeguati

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Cartoon Una immagine della serie «Strappare lungo i bordi»

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