Se nella serie «The Son» Brosnan non riesce a fare il cattivo
Dal western classico The Son mutua alcuni spunti di superficie: il mito della frontiera, la lotta contro gli indiani (che oggi andrebbe riscritta come genocidio), il carattere dei personaggi tagliato con l’ascia. Per il resto, la storia procede a strappi, gravata da non pochi momenti di stanca, soprattutto per quel che riguarda la recitazione.
Tratta dall’omonimo romanzo di Philipp Meyer, la serie della AMC The Son ha per protagonista il magnate texano del bestiame Eli McCullough (Pierce Brosnan), un uomo senza scrupoli pronto ad entrare nel mercato del petrolio (Sky Atlantic). I rimandi sono numerosi, da Il gigante di George Stevens a Il Petroliere di Paul Thomas Anderson, da Deadwood a Yellowstone, tanto per citarne alcuni.
In The Son si intrecciano due piani temporali diversi: il presente, il Texas del Sud nel 1915, e il passato. Da bambino, Eli è stato rapito dai Comanches e per sopravvivere ha dovuto dotarsi di una scorza molto dura, mentre ora, da adulto, è diventato un ricco allevatore. Ora è particolarmente interessato all’industria del petrolio, che potrebbe rappresentare il futuro di quello Stato. Col passare degli anni, però, il suo impero è sempre più a rischio (i messicani guidati dalla famiglia Garcia vorrebbero riconquistare il sud di quel territorio), e il rapporto con suo figlio Pete (Henry Garrett), il più giovane, diventa sempre più problematico.
L’«educazione indiana» fa da controcanto all’educazione che hanno ricevuto le nuove generazioni e non sempre i due piani si armonizzano: alla crudezza della prima si contrappone troppo spesso la melodrammaticità della seconda. Pur mascherato da una folta barba, Pierce Brosnan non riesce a fare il cattivo, come se inconsciamente non volesse scalfire il suo personaggio di uomo fascinoso. A smentirci, è in preparazione una seconda stagione.