«Hanno ragione i ragazzi là fuori Verifiche ogni anno: il 2050 è lontano»
Il laburista Miliband: Greta doveva parlare qui
GLASGOW Nella sinistra britannica lui è un veterano dell’ambientalismo: Ed Miliband è stato ministro per il Cambiamento climatico nel governo di Gordon Brown, di cui poi prese il posto come leader laburista nel 2010. Dopo essere stato sconfitto nel 2015 da David Cameron, lui è rimasto un po’ ai margini durante la stagione radicale di Jeremy Corbyn: ma adesso è tornato alla ribalta come «presidente ombra» della Cop26. In pratica, la voce dell’opposizione britannica su Glasgow.
Qui dentro si continua a discutere, ma là fuori ci sono migliaia di giovani in marcia. Greta ha detto che sono loro i veri leader: cosa ne pensa?
«Hanno ragione: loro parlano senza esitazioni, senza tenersi sotto controllo, in maniera veritiera. Loro parlano non solo per i giovani, ma anche per quelli che non sono ancora nati. Se guardi le cose dal punto di vista di qualcuno fra 50 o 100 anni, direbbero che stiamo facendo troppo o troppo poco sul cambiamento climatico? Direbbero che stiamo facendo troppo poco. Dobbiamo ascoltare la voce di quei giovani».
Dunque hanno un ruolo importante da svolgere?
«Onestamente, penso che Greta dovrebbe essere stata autorizzata a parlare dentro la Cop26: è stato un errore non darle l’opportunità di intervenire».
Parlando della Conferenza, se India e Cina hanno spostato i loro impegni oltre la metà del secolo, non è troppo tardi?
«Penso che non sia mai troppo tardi: ma dobbiamo essere onesti, siamo molto lontani da dove dovremmo essere. Dobbiamo dimezzare le emissioni globali in questo decennio. Dobbiamo continuare a chiedere conto ai governi: siamo a 28 miliardi di tonnellate di emissioni quando dovremmo essere a 5. Questi sono i numeri che definiranno se avremo successo o falliremo. Sono un po’ preoccupato, perché se parliamo di 2050 o 2060 o 2070 sarà troppo tardi».
Cosa devono fare i Paesi sviluppati per far pressione sui Paesi più riluttanti?
«Poiché i 100 miliardi di aiuti da parte dei Paesi ricchi non sono arrivati, il problema è che non c’è una pressione sui grandi inquinatori per agire. Ma qui a Glasgow dobbiamo massimizzare la pressione sui grandi inquinatori. E dobbiamo tornare a riunirci dopo Glasgow, non nel 2025 come il mondo sta programmando, ma prima: per dire che non è abbastanza, che dobbiamo alzare il livello delle nostre ambizioni».
Dunque fare una verifica prima del 2025.
«Molto prima: ogni anno. Questa è la richiesta dei Paesi vulnerabili».
Quali azioni urgenti vanno intraprese nei prossimi anni?
«Possiamo focalizzarci su uno o due Paesi inquinatori, ma ogni nazione del G20 deve fare di più, nessuno di loro sta facendo abbastanza. Il focus
La fretta Le emissioni vanno dimezzate in questo decennio, siamo lontani da dove dovremmo essere Le responsabilità Possiamo focalizzarci su Cina e India, ma ogni Paese del G20 deve fare di più
è stato su Cina e India, e questo va bene: ma ognuno deve fare di più e questo include Gran Bretagna e Italia».
Ci sono stati accordi per fermare la deforestazione e tagliare le emissioni di metano.
«Sono buone parole, buone intenzioni: la questione è che abbiamo sentito di accordi simili prima. Saranno reali? Dieci anni per fermare la deforestazione è una lunga strada. Una cosa è dire lo facciamo, ma uno come Bolsonaro è stato il re della deforestazione: agirà davvero? Ogni passo avanti è buono, ma la vera domanda è se stanno facendo sul serio».
Quali altri accordi si aspetta qui alla Cop26?
«Faranno qualcosa sui veicoli a benzina e diesel per sostituirli con veicoli elettrici. Sono cose importanti; ma il 2050 è una buona scusa, le buone intenzioni non possono essere una scusa per non focalizzarci sui numeri di questo decennio».
Questi accordi di settore basteranno per dichiarare il successo?
«Questa Cop non può permettersi di fallire, qualunque cosa succeda dobbiamo continuare a spingere più avanti, più velocemente, con più energia e vigore: se teniamo il focus sul 2030, sarà un successo».
Glasgow non è dunque l’ultima speranza?
«La Cop26 non è la fine, è l’inizio: è la battaglia del decennio».