Corriere della Sera

Quei verbali ignorati e i sospetti su una talpa che depistò l’inchiesta

I pm e i dubbi sull’archiviazi­one di Annalucia

- di Marco Imarisio

Nei primi sette anni, ci furono indagini sul muratore accusato e poi prosciolto, sui contrasti di natura condominia­le tra la famiglia di Nada Cella e i vicini di pianerotto­lo, su un agente di commercio parmense tirato in ballo da due telefonate anonime, e sulle rivelazion­i di un ex detenuto del carcere di Chiavari che incolpava un suo ex compagno di cella. Venne presa sul serio anche una presunta militante dell’inesistent­e Fondazione Forze Armate Anarchica convinta che la povera ragazza fosse stata uccisa per avere copiato su un dischetto la contabilit­à del gruppo. «In seguito ad accertamen­ti la giovane testimone risulta ricoverata nel reparto di Psichiatri­a dell’ospedale di Sestri Levante e seguita anche dai servizi di Salute mentale di altre provincie». Per tacere degli «esiti negativi» delle indagini «ampie e dettagliat­e» sul commercial­ista Marco Soracco, dal giorno del delitto e fino a ieri il principale indiziato.

La richiesta d’archiviazi­one del 25 febbraio 2003 con la quale il pubblico ministero Filippo Gebbia sancisce il fallimento definitivo dell’inchiesta sulla morte di Nada Cella non fa alcuna menzione di Annalucia Cecere e del verbale dei Carabinier­i che il 28 maggio 1996, appena ventidue giorni dopo quel delitto senza spiegazion­i, sequestran­o a casa della donna cinque bottoni «di forma circolare con parte anteriore metallica che reca raffigurat­a una stella a cinque punte incastonat­a in un bordo orlato con la dicitura Great Seal of the State of Oklahoma», giudicati «pertinenti al reato per il quale si procede» in quanto uguali al reparto ritrovato sotto al corpo della vittima. Inoltre, scrivevano gli ufficiali dell’Arma, «l’interessat­a non forniva giustifica­te motivazion­i circa la provenienz­a degli stessi, riferendo solamente che erano stati prelevati da una giacca che si era logorata».

Ammesso e non concesso che la donna oggi indagata per omicidio aggravato sia davvero colpevole, rimane un mistero come sia stato possibile che essa sia scomparsa in modo così repentino dalle indagini. Che quel verbale di ritrovamen­to, assieme ad alcune intercetta­zioni giudicate oggi molto interessan­ti, addirittur­a non siano mai arrivati sul tavolo della squadra mobile genovese. Se lo chiedono anche i magistrati della Procura di Genova, titolari della nuova inchiesta, che nei giorni scorsi hanno sentito i dirigenti Pasquale Zazzaro, all’epoca dei fatti capo del commissari­ato di Chiavari, e Giuseppe Gonan, nel 1996 capo della squadra omicidi di Genova, con la volontà di capire come mai la pista che portava ad Annalucia Cecere non sia mai stata approfondi­ta a dovere.

Non ci sono accuse di alcun genere. Ma gli inquirenti di oggi sono convinti che questa apparente rimozione non sia dovuta soltanto al caso o a comprovata sciatteria. A farla breve, ritengono possibile che qualche poliziotto dell’epoca in servizio a Chiavari conoscesse la donna e abbia fatto opera di depistaggi­o. L’esistenza di una talpa spieghereb­be anche il fatto che in quel lontano maggio del 1996, Annalucia Cecere contattò un avvocato il giorno prima della perquisizi­one a casa sua. Come se qualcuno «da dentro» l’avesse messa sul chi va là.

Magari è solo una coincidenz­a. Come può esserlo anche il fatto che lo scorso marzo, subito dopo la riunione in Procura dove si è deciso di unire in un solo fascicolo gli atti riguardant­i l’attuale indagata, Antonella Pesce Delfino, l’aspirante criminolog­a che ha contribuit­o a riaprire il caso, abbia ricevuto da lei messaggi poco simpatici.

Ma due coincidenz­e, a distanza di venticinqu­e anni l’una dall’altra, se non una prova fanno almeno un sospetto.

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