Corriere della Sera

«Giuseppe morì in divisa Ma se per lo Stato non è così, tolga il suo nome dalla stele»

Le sorelle di uno dei parà vittime della strage della Meloria

- di Giusi Fasano

Caterina Iannì risponde da Reggio Calabria, scandisce bene le parole e premette di parlare anche a nome delle sorelle Giusi e Carmela. Dice che «adesso basta, dopo tutto questo tempo la nostra pazienza è finita», e anticipa di aver appena incaricato gli avvocati di famiglia di spedire «a chi di dovere» una lettera importante.

Il contenuto lo riassume a voce: «Ai destinatar­i diciamo: sapete che c’è? Siamo stanche di vedere il nome di nostro fratello messo da parte e trattato come la pecora nera del gruppo. Giuseppe era nella missione come tutti gli altri, è morto come tutti gli altri e portava la divisa da paracaduti­sta come tutti gli altri. Non volete considerar­lo vittima del dovere come i suoi compagni di sciagura? Rivolete i soldi che ci avete dato? Benissimo. Allora le sorelle Iannì esigono che il suo nome venga rimosso da qualsiasi monumento o stele alla memoria e non venga mai più menzionato nelle manifestaz­ioni di ricorrenza. E già che ci siamo, considerat­a la disparità di trattament­o che ci avete riservato, sappiate che riconsegne­remo allo Stato anche il Tricolore che avvolge il feretro di Giuseppe da 50 anni. Faremo riaprire la tomba e, anche se fosse a brandelli, lo restituire­mo».

Assieme a queste richieste, gli avvocati Giuseppe Guerrasio e Giosuè Domenico Megna hanno sintetizza­to per sommi capi la storia giudiziari­a della famiglia Iannì e hanno spedito la lettera: al presidente Mattarella, alla regina Elisabetta, al Papa, a Draghi, ai presidenti di Camera e Senato, ai ministeri degli Esteri, Giustizia, Difesa e Interno, alla prefettura di Livorno e al 187° Reggimento paracaduti­sti Folgore.

Sapranno presto se è stato accolto il messaggio, perché la prossima commemoraz­ione (a 50 anni dall’evento) è il 9 novembre e, in teoria, entro quella data il nome di Giuseppe Iannì dovrebbe sparire dalle lapidi che lo ricordano come una delle vittime della sciagura della Meloria, il disastro aereo del 9 novembre 1971. Un Hercules della Royal Air Force — con a bordo 46 paracaduti­sti italiani e 6 militari britannici — si inabissò al largo della costa Livornese, in una zona chiamata Secche della Meloria. Era diretto in Sardegna per la Cold Stream, un’esercitazi­one militare della Nato. Morirono tutti, alcuni furono ritrovati dopo mesi, altri mai; per le nostre Forze Armate quello è rimasto il più grave incidente dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Ma perché dopo tutto questo tempo Caterina (che all’epoca aveva 13 anni), Giusi (che non era ancora nata) e Carmela sono così arrabbiate? La risposta viene ancora da Caterina: «Siamo offese, oltre che arrabbiate. Perché ci avevano accordato un vitalizio, ma nel 2018 la Cassazione ha deciso che dobbiamo restituire tutto poiché secondo loro non risulta che Giuseppe fosse nostro convivente. Un’assurdità e una falsità. Era un errore evidente, il certificat­o che provava il contrario non è mai stato considerat­o, ma non c’è stato modo di rimediare. Abbiamo provato a insistere con ogni via giuridica possibile ma non è valso a niente e ora dovremo ridare indietro quei soldi, circa 200 mila euro per ciascuna di noi. Come faremo? E poi c’è un’altra cosa che ci ferisce: tutti gli altri — tutti — sono inseriti nell’elenco delle “vittime del dovere”, Giuseppe soltanto risulta “vittima del dovere equiparata”. Ma scherziamo? Aveva vent’anni ed è morto su quel maledettis­simo aereo. Che vuol dire quel “vittima equiparata?” Per noi è uno schiaffo alla sua memoria».

Dal punto di vista giudiziari­o questa storia dimostra come nessun’altra la differenza di vedute fra un giudice e un altro, fra un tribunale e un altro. Portate avanti singolarme­nte, ciascuna nella città d’origine della vittima, le cause civili dei paracaduti­sti morti nelle Secche della Meloria sono finite in modo quantomai diverso l’una dall’altra. Ma in nessun caso, salvo che per i Iannì, l’avvocatura dello Stato è ricorsa in Cassazione e chiunque abbia avviato il procedimen­to ha avuto i riconoscim­enti economici dovuti. Chiunque tranne le sorelle Iannì.

Esiti diversi per lo stesso disastro. Esiti che il ministero dell’Interno ha definito «discutibil­i». Una risposta del Viminale arrivata alla famiglia Iannì attraverso la prefettura dice: «La decisione della Cassazione permane a prescinder­e dal discutibil­e esito di altri contenzios­i».

Lo schianto dell’aereo Che significa chiamarlo «vittima equiparata»? È soltanto uno schiaffo alla sua memoria

 ?? ?? In caserma Giuseppe Iannì è uno dei 46 parà italiani morti nel disastro aereo del 9 novembre 1971
In caserma Giuseppe Iannì è uno dei 46 parà italiani morti nel disastro aereo del 9 novembre 1971

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