«Camere più grandi, le distanze nei ristoranti»
Tara Bernerd, regina dell’«interior» negli hotel, e le «correzioni» per l’ospitalità post Covid
Lei è la regina del design di hotel: nel portfolio dello studio di Tara Bernerd, basato a Londra, ci sono i migliori nomi dell’ospitalità mondiale, da Belmond a Rosewood, da Conrad a Four Seasons. Ed è proprio al Four Seasons, affacciato su Hyde Park, cui ha appena rifatto il look, che incontriamo Tara, donna dalla personalità esuberante e a tratti travolgente: neppure la pandemia l’ha fermata, visto che durante il lockdown è riuscita a lanciare lo Zentis a Osaka, lo Hari a Hong Kong, il Thompson a Hollywood e il Four Seasons a Fort Lauderdale (e ora sta collaborando con lo studio di Frank Gehry per un altro hotel a Los Angeles).
Ma è indubbio che il Covid ha avuto un impatto significativo sull’industria dell’ospitalità e ha imposto un ripensamento che è destinato a durare anche oltre l’emergenza. «La pandemia ha cambiato molte cose — riflette Tara —.
Innanzitutto sul piano operativo: quando la gente fa il check in nella stanza, vogliono che tutto sia igienizzato, che ci sia il gel per le mani o le mascherine. Ma la gente continua a volere stanze belle, bagni fantastici: sta a noi disegnare ristoranti meravigliosi ma magari li faremo con dei separé per il distanziamento sociale. Per esempio il ristorante dello Zentis a Osaka è pensato per mantenere lo spazio fra le persone».
Secondo la designer inglese sarà comunque interessante vedere in che forme si declinerà il cambiamento: «C’è ora più enfasi su stanze più grandi — osserva — e dovremo essere più attenti nel design di bar e ristoranti. Occorre elaborare in maniera intelligente ciò di cui abbiamo fatto esperienza». E, ovviamente, c’è una nuova attenzione agli spazi esterni: «Dove abbiamo l’opportunità di un outdoor, cerchiamo di sfruttarlo al massimo», sottolinea Tara. Insomma, ci sono sottili ma importanti cambiamenti nella progettazione degli hotel: «Occorre essere adattabili e flessibili negli spazi — riassume Tara, che però non rinuncia a una nota di ottimismo —. Quando tutto questo sarà finito, vorremo riavere quello che avevamo prima: è umano viaggiare e tornare in azione».
I lavori dello studio della designer inglese punteggiano la mappa dei diversi continenti: «Ma ogni progetto è individuale — spiega Tara —. Adottiamo una particolare narrativa per ognuno di essi: nei nostri progetti cerchiamo di essere appropriati a uno spazio. È come quando si viaggia: se vado in Messico metto in valigia il pareo, se vado in una metropoli sarò in un contesto diverso».
Tara trova difficile incasellare le sue fonti di ispirazione, «molto viene dai miei viaggi, dalle mie esperienze: sono una piccola spugna». Però guardando i suoi lavori si nota comunque un’aria di famiglia, un tratto che rimanda all’estetica Art Deco e che è evidente nel richiamo alla stagione del modernismo della West Coast che le ha ispirato il Thompson a Hollywood. «Qualcuno — ammette — ha detto che nel mio design tendo più al bello che al carino: in altri tempi avremmo detto più al maschile che al femminile, adesso direi che è un tratto più deciso. Questa stanza qui al Four Seasons, per esempio, è morbida e serena, amo il calore e ciò che seduce: ma volevo fare qualcosa di più appariscente, più tagliente piuttosto che troppo floreale».
E ovviamente tra le fonti di Tara c’è molta Italia e in particolare Milano, «il centro dello spirito del design»: qui viene spesso, anche perché vive tra Londra e la Svizzera e nel capoluogo meneghino sta pensando di aprire uno studio. «Ho sempre creduto di essere po’ italiana — conclude — avete questa enorme eleganza...».
In tutto il mondo nei progetti cerchiamo di essere molto indigeni
Milano è il centro dello spirito del design. Sto pensando di aprire uno studio lì
Il suo studio ha rifatto il look degli alberghi di grandi catene come Conrad e Four Seasons