Da qui al 2030 la grande sfida è l’idrogeno verde
Mega elettrolizzatori per renderlo più competitivo di quello da fossili
L’idrogeno come vettore energetico sta vivendo una seconda giovinezza. Dopo essere diventato popolare all’inizio del nuovo millennio con il best seller di Jeremy Rifkin The Hydrogen Economy, che lo dipinse come la soluzione a tutti i problemi energetici del mondo, questo gas che non esiste puro in natura si è arenato contro le difficoltà di produzione. La via più economica è estrarlo dal metano, il che porta all’emissione di elevate quantità di gas a effetto serra e quindi non è utile per la transizione energetica. Ad oggi, il 98% dell’idrogeno utilizzato nel mondo si produce così. Risultato: per 70 milioni di tonnellate di idrogeno all’anno si emettono 830 milioni di tonnellate di CO2, più delle emissioni annuali di un Paese come la Germania,
secondo i dati dell’International Energy Agency.
Esiste però anche un altro sistema di produzione. L’elettrolisi, che separa l’idrogeno dall’ossigeno nelle molecole dell’acqua; è un processo pulito (emette ossigeno) ma consuma molta elettricità e conviene solo nei casi in cui ci sia energia verde d’avanzo e troppo poca domanda per utilizzarla tutta, come capita nei Paesi del Nord Europa, grandi produttori di energia eolica.
L’idrogeno verde è al centro della visione della Commissione europea, che punta ad azzerare le emissioni nette di carbonio dell’Unione entro il 2050. Uno dei problemi più complicati da risolvere per centrare l’obiettivo è l’accumulo stagionale di energia. La rete elettrica ha bisogno di pareggiare sempre domanda e offerta, ma le fonti intermittenti come l’eolico e il solare non sono regolabili, per cui devono essere immagazzinate per renderle disponibili nel momento preciso in cui servono. Per lo storage a breve termine, come quello dell’energia solare fra giorno e notte, ci si può affidare alle batterie di ultima generazione, ma per le disparità stagionali, ad esempio per compensare la calma piatta estiva con il surplus di vento invernale, la questione diventa più complicata, perché i volumi richiesti sono più grandi e i sistemi non devono scaricarsi nel tempo, come capita alle batterie. La soluzione più pulita è trasformare l’elettricità in eccesso in idrogeno, che poi si può stoccare in serbatoi, per riconvertirlo in elettricità da fuel cell o da turbina quando serve.
Ad oggi, l’idrogeno verde non è competitivo, con costi di 3-5 euro al chilo contro 1,2-1,4 euro al chilo per l’idrogeno prodotto da fossili. Per decarbonizzare il continente bisognerebbe far diventare l’idrogeno verde più competitivo di quello «grigio» e numerosi studi indicano che entro il 2030 si potrebbe arrivare al pareggio, se i costi degli elettrolizzatori continueranno a calare al ritmo attuale. A questo contribuirà il Piano per l’idrogeno pulito della Commissione europea, scandito su tre fasi, con almeno 6 gigawatt di elettrolizzatori da installare entro il 2024, altri 40 gigawatt entro il 2030 e con una piena applicazione di questa tecnologia su larga scala in tutti i settori, specialmente i più difficili da decarbonizzare, entro il 2050.
Allo sforzo partecipa anche la Svizzera, con il primo mega-elettrolizzatore di Axpo, attivo dal 2022 per produrre 350 tonnellate d’idrogeno verde all’anno dall’energia del Reno. L’impianto, realizzato presso la centrale idroelettrica di Eglisau-Glattfelden, tra Sciaffusa e Basilea, è il primo di una serie che Axpo realizzerà in futuro e potrà essere raddoppiato se la domanda crescerà come previsto.
In Svizzera
Axpo apre nel 2022 un grosso impianto che sfrutta il Reno: è il primo di una serie