Allegri, il grande conservatore che cerca di restaurare la Juve
Il ritiro, le bacchettate, il difensivismo: con la Fiorentina, Max non può più sbagliare
A «buttare il lavoro di un mese», come continua a ripetere Allegri dopo le due sconfitte in campionato con Sassuolo e Verona, la Juventus si era già abituata l’anno scorso: prima di Natale, la Fiorentina vinse 3-0 allo Stadium, mettendo fine alla migliore serie di Pirlo, caratterizzata dalle vittorie a Barcellona e Parma che avevano fatto pensare alla svolta definitiva.
Ecco perché dopo il successo di slancio sullo Zenit e la qualificazione agli ottavi di Champions con due turni di anticipo, la Fiorentina di Italiano — che è un’altra squadra rispetto a dodici mesi fa e si presenta con tre punti di vantaggio — rappresenta l’ennesimo esame di maturità per una Juve che è diventata l’esatto contrario del blocco granitico che ha vinto i nove scudetti di fila: imprevedibile, poco equilibrata, dai facili entusiasmi, subito seguiti da momenti di apatia e poi dai musi lunghi.
Una Juve talentuosa ma immatura, che snobba le provinciali e addirittura «non rispetta l’avversario» come sottolineato dallo stesso Allegri a Verona una settimana fa. Forse anche per questo il tecnico interpreta sempre di più la parte del conservatore, dell’allenatore vecchia scuola (chi definisce ancora «sbarazzino» l’avversario?), se non addirittura del sergente di ferro: «Un giovane deve fare la trafila dalla C, alla B poi in A, come trent’anni fa — spiega Max in riferimento al baby Soulé della Under 23 convocato dall’Argentina di Messi —. Ma adesso ci sono le mode. Vestito grigio e blu però vanno sempre bene, le mode invece passano».
Come hanno confermato alcuni suoi giocatori, da Ambrosini a Evra, Max è un duro in allenamento, soprattutto quando le cose non vanno bene. E anche se ha ridotto al minimo sindacale il ritiro («È stato importante per parlarsi , ma se non vinciamo non sarà servito a nulla») , Allegri martella sulla fase difensiva, considerato che la Juve non prendeva tanti gol dal 1961. «Rimaniamo coi piedi per terra. Non è che il 4-2 con lo Zenit ci ha fatto diventare fenomeni. Dobbiamo togliere la sensazione che nella fase difensiva siamo ancora troppo leggerini, mentre abbiamo migliorato la fase offensiva. Ci vuole equilibrio. Il passaggio del turno è stato importante, ma bisogna stare zitti, pedalare. E cercare di fare risultati».
Allegri bacchetta Rabiot: dopo aver detto (come Pirlo) che il francese «non si rende conto di quanto è forte» anche a Max forse è venuto il dubbio che il giocatore non sia poi così
La minaccia Vlahovic I viola hanno 3 punti in più e Vlahovic, oggetto del desiderio juventino «Ora zitti e pedaliamo»
interessato a scoprire quanto può rendere in serie A: «Inutile parlare di potenziale. Adrien deve fare molto di più. Semplice». Dusan Vlahovic invece, pur non avendo giocato in C e in B, fa già abbastanza: oggi è il pericolo numero uno, da domani tornerà a essere l’obiettivo principale della Juve, già per gennaio. Ieri è spuntata un’offerta di 80 milioni dell’Arsenal per il serbo, che preferirebbe la serie A e la maglia bianconera. La Juve deve tornare a vincere per recuperare il terreno perduto, per non rischiare di rimanere fuori dalla Champions. E rischiare di diventare una seconda scelta.
L’ultima volta, due anni fa in Giappone, finì 0-0, ma solo perché un tifone cancellò Nuova Zelanda-Italia dal programma della Coppa del Mondo. Finito il Mondiale con il trionfo del Sudafrica, gli All Blacks hanno ripreso il loro solito tran tran: 12 vittorie (più un pari e tre sconfitte) condite da un centinaio di mete. Noi, da quel pareggio che non troverà ovviamente posto nei libri dei record, abbiamo sempre e solo perso.
Oggi gli All Blacks tornano a Roma per la terza tappa del loro tour autunnale iniziato a Washington (104-14 agli Usa) e proseguito a Cardiff (54-16 al Galles), un tour extralarge perché nell’ultimo anno e mezzo il Covid ha svuotato le casse di tutte le federazioni, comprese quelle della squadra più fascinosa del rugby. Un mito per la maglia nera, la danza maori(haka) che precede ogni partita e per la quale gli allenamenti sono severi come quelli per gli schemi di gioco, per l’approccio quasi monastico, il rispetto delle tradizioni e delle regole (chi si ubriaca, chi si fa coinvolgere in una rissa, chi si chiude nel bagno di un aeroporto con una tifosa va a casa a prescindere dal cognome). Un mito che si regge però sui risultati, perché se fossero solo scena e disciplina nessuno li prenderebbe sul serio.
Invece sono soprattutto sostanza. Dal 1903, anno della sua prima apparizione, la squadra di rugby più famosa del mondo (e più famosa dello stesso rugby), espressione di un Paese di meno di 5 milioni di abitanti, ha vinto 418 volte su 543, alzando all’80 per cento la percentuale di successi negli ultimi 20 anni. Solo sette nazioni sono riuscite a batterla almeno una volta e l’Italia non fa parte delle magnifiche sette. Ne ha infatti perse 14 su 14 segnando in media 11 punti e prendendone 52. Anche per questo oggi non saranno i migliori All Blacks a scorrazzare sul prato dell’Olimpico, ma tra le loro seconde scelte abbondano i grandi giocatori e ci sono almeno un paio di fenomeni (Mo’unga e McKenzie) che si daranno molto da fare per convincere Ian Foster, il loro c.t., di meritare di più. Insomma, sarà l’ennesimo pomeriggio di passione per l’Italia che ricomincia da un nuovo c.t., il neozelandese Kieran Crowley, ex allenatore del Treviso, un nuovo capitano, il 23enne Michele Lamaro, e i soliti problemi. Gli azzurri non giocano dal Sei Nazioni dell’anno scorso, chiuso con il record negativo di punti e mete subiti e con la clamorosa disfatta a Edimburgo: 52-10 e 8 mete a 1 per la Scozia. E gli All Blacks non sono l’ideale per recuperare un po’ di autostima. Perché se qualcuno pensa ci sia una possibilità di prolungare oggi la gloriosa estate dello sport italiano, è meglio che cambi subito idea: neppure la dozzina di medagliati di Tokyo che saranno in tribuna potrà fare qualcosa contro l’onda nera.
«Pensiamo alla nostra prestazione e guadagniamoci il rispetto degli avversari» racconta Crowley e lo stesso concetto ripete capitan Lamaro. «Siamo giovani e, lo ammetto, per me sarà una grande emozione giocare con gli All Blacks, anzi con la Nuova Zelanda, che detta così fa un po’ meno paura — argomenta Lamaro —. Ma siamo a casa nostra, con i nostri tifosi, abbiamo tanta voglia di fare qualcosa di buono». Di vincere si comincerà a parlare solo da domenica: dopo gli All Blacks ci saranno Argentina e Uruguay e i discorsi dovranno per forza essere diversi.