Perché Angela Merkel sbaglia a prendere le difese della Polonia
Nel duello giudiziario degli scorsi giorni fra Varsavia e l’Unione europea, Angela Merkel è stata l’avvocato difensore della Polonia. Ha ricordato le molte ferite inflitte a questo Paese nel corso della sua storia (spesso dalla Germania), e il regime sovietico che le è stato imposto dall’Urss per qualche decennio dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ha aggiunto che la Polonia è chiamata oggi dalla Ue a rispettare trattati che non ha negoziato e che in certi atteggiamenti polacchi vi è un rispettabile problema di «identità nazionale». Bisogna quindi adottare con Varsavia, in questi casi, un atteggiamento dialogante. Piuttosto che imporle trattati confezionati a Bruxelles senza la sua partecipazione, converrebbe assumere una posizione conciliante e una maggiore disponibilità al negoziato. Conoscevamo le opinioni di Angela Merkel, sapevamo che anche lei è stata cittadina di un Paese comunista (la Repubblica Democratica Tedesca), che nei suoi anni giovanili ne ha probabilmente condiviso almeno in parte gli ideali, che è stata politicamente allevata e coltivata dal cancelliere Kohl, dopo la riunificazione delle due Germanie, proprio per dimostrare che la nuova grande patria tedesca non avrebbe trattato gli ultimi arrivati come cittadini di seconda classe. Ma se adottassimo questa linea non dovremmo chiedere ai polacchi di firmare ciò che gli altri membri della Ue hanno già laboriosamente pattuito. Dovremmo riaprire il negoziato per l’intera Europa o almeno permettere che i tedeschi dell’Est godano di un trattamento diverso conservando prerogative nazionali a cui gli altri membri hanno rinunciato. Se adottassimo questa linea con l’arrivo di ogni nuovo Paese nella Ue , tuttavia, correremmo il rischio di rimettere in discussione tutto ciò a cui abbiamo rinunciato per costruire insieme una Federazione europea. Non basta. Se le ragioni dell’atteggiamento polacco sono le umiliazioni subite nel corso della sua storia, la nostra risposta dovrebbe essere diversa. Dovremmo ricordare alla Polonia che la Dichiarazione europea di Robert Schuman (la pietra di fondazione dell’edificio europeo) fu pronunciata a Parigi il 9 maggio 1950 dopo due guerre europee che avevano distrutto intere città e provocato un numero ancora oggi difficilmente calcolabile di morti e feriti. Dovremmo ricordare anche a Merkel che la costruzione di una Europa unita è il più efficace dei rimedi alla possibilità di nuovi conflitti. Ma potremo progredire su questa strada, soprattutto in un’epoca pericolosamente sovranista, soltanto se eviteremo rigurgiti nazionalisti e non permetteremo ai singoli membri di sottrarsi alle regole che hanno permesso di progredire sinora sulla strada della unificazione. Non può esservi un posto nella Ue per Paesi che non condividono questi principi e non accettano di obbedire a queste regole.