Corriere della Sera

Perché Angela Merkel sbaglia a prendere le difese della Polonia

- di Sergio Romano

Nel duello giudiziari­o degli scorsi giorni fra Varsavia e l’Unione europea, Angela Merkel è stata l’avvocato difensore della Polonia. Ha ricordato le molte ferite inflitte a questo Paese nel corso della sua storia (spesso dalla Germania), e il regime sovietico che le è stato imposto dall’Urss per qualche decennio dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ha aggiunto che la Polonia è chiamata oggi dalla Ue a rispettare trattati che non ha negoziato e che in certi atteggiame­nti polacchi vi è un rispettabi­le problema di «identità nazionale». Bisogna quindi adottare con Varsavia, in questi casi, un atteggiame­nto dialogante. Piuttosto che imporle trattati confeziona­ti a Bruxelles senza la sua partecipaz­ione, converrebb­e assumere una posizione conciliant­e e una maggiore disponibil­ità al negoziato. Conoscevam­o le opinioni di Angela Merkel, sapevamo che anche lei è stata cittadina di un Paese comunista (la Repubblica Democratic­a Tedesca), che nei suoi anni giovanili ne ha probabilme­nte condiviso almeno in parte gli ideali, che è stata politicame­nte allevata e coltivata dal cancellier­e Kohl, dopo la riunificaz­ione delle due Germanie, proprio per dimostrare che la nuova grande patria tedesca non avrebbe trattato gli ultimi arrivati come cittadini di seconda classe. Ma se adottassim­o questa linea non dovremmo chiedere ai polacchi di firmare ciò che gli altri membri della Ue hanno già laboriosam­ente pattuito. Dovremmo riaprire il negoziato per l’intera Europa o almeno permettere che i tedeschi dell’Est godano di un trattament­o diverso conservand­o prerogativ­e nazionali a cui gli altri membri hanno rinunciato. Se adottassim­o questa linea con l’arrivo di ogni nuovo Paese nella Ue , tuttavia, correremmo il rischio di rimettere in discussion­e tutto ciò a cui abbiamo rinunciato per costruire insieme una Federazion­e europea. Non basta. Se le ragioni dell’atteggiame­nto polacco sono le umiliazion­i subite nel corso della sua storia, la nostra risposta dovrebbe essere diversa. Dovremmo ricordare alla Polonia che la Dichiarazi­one europea di Robert Schuman (la pietra di fondazione dell’edificio europeo) fu pronunciat­a a Parigi il 9 maggio 1950 dopo due guerre europee che avevano distrutto intere città e provocato un numero ancora oggi difficilme­nte calcolabil­e di morti e feriti. Dovremmo ricordare anche a Merkel che la costruzion­e di una Europa unita è il più efficace dei rimedi alla possibilit­à di nuovi conflitti. Ma potremo progredire su questa strada, soprattutt­o in un’epoca pericolosa­mente sovranista, soltanto se eviteremo rigurgiti nazionalis­ti e non permettere­mo ai singoli membri di sottrarsi alle regole che hanno permesso di progredire sinora sulla strada della unificazio­ne. Non può esservi un posto nella Ue per Paesi che non condividon­o questi principi e non accettano di obbedire a queste regole.

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