Corriere della Sera

Gino e il mistero delle rose rosse prese il giorno del funerale

- M. Mas.

«Gino? Un uomo tranquillo, nessuno avrebbe mai pensato che potesse essere coinvolto. E poi mica è stato condannato, andiamoci piano con le conclusion­i». Di fronte al bar Angelo Azzurro ieri pomeriggio si è radunata una piccola folla di pensionati, orfani del loro caffè quotidiano. Negli ultimi 13 anni il locale dove lavorava Luigi Oste è stato un punto di riferiment­o per quell’isolato dove tutti si conoscono. Nato a Piazza Armerina, in Sicilia, Oste è cresciuto a Torino, nel difficile quartiere della Falchera, dove abitano ancora la madre e il fratello. Si definisce un impresario edile, ma la sua partita Iva è inattiva da tempo. Separato dalla moglie, da cui aveva avuto due figlie che lo hanno fatto diventare nonno, si era poi trasferito a Barriera di Milano con la sua nuova compagna. La donna, una cittadina cinese, già madre di due ragazzi, è morta lo scorso anno a causa di una malattia incurabile e, secondo gli amici, quel tragico evento lo aveva segnato profondame­nte. Da qualche tempo aveva anche problemi al cuore, aveva subito un intervento e ne aveva in programma un altro a Vercelli. Lo scorso 21 maggio aveva accusato un lieve malore e a soccorrerl­o nel suo bar, per ironia della sorte, era arrivata proprio un’ambulanza della Croce Verde. «La morte della moglie lo aveva cambiato e andava tutti i giorni al cimitero e portava sempre fiori freschi». E di fiori ne aveva ordinati anche venerdì, poco prima di essere fermato. Non crisantemi, ma un mazzo da 25 rose rosse che un fioraio bengalese ha tentato di consegnare ieri pomeriggio, ma la serranda del bar era abbassata, con il cartello «Chiuso per restauro». Il fioraio ha chiesto inutilment­e spiegazion­i e poi si è allontanat­o con la testa bassa: «Ho visto Gino venerdì, ma non riesco a trovarlo, non risponde al telefono». A chi fossero destinate quelle rose rosse, proprio nel giorno in cui a Torino si è celebrato il funerale di Massimo Melis, nessuno lo sa. Ma in molti un sospetto ce l’hanno.

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