Messaggi e tracciati del telefonino «Così siamo arrivati al killer di Melis»
Torino, fermato un barista 62enne: si era invaghito dell’ex fidanzata della vittima. Non ha risposto ai pm
TORINO Tanti messaggi sul telefono della donna di cui si era invaghito, la cella telefonica che lo colloca nell’area di Barriera di Milano all’ora dell’omicidio, l’immagine di una telecamera che lo immortala vicino al luogo del delitto. Questi alcuni degli indizi in mano agli inquirenti che hanno portato al fermo di Luigi Oste, il barista 62enne che, da subito, è stato il principale sospettato dell’assassinio di Massimo Melis. Per gli investigatori della Squadra Mobile, guidati dal dirigente Luigi Mitola, non ci sono dubbi: è stato Oste a sparare in testa al 52enne operatore della Croce Verde la notte di Halloween, con un revolver che non è ancora stato trovato.
Lo avrebbe fatto per gelosia, temeva che Melis e Patrizia Cataldo, la barista 41enne che voleva conquistare, si potessero rimettere insieme. Oste lavorava nel bar Angelo Azzurro di corso Vercelli, di proprietà dei suoi figliastri, e abitava nello stesso edificio. A duecento metri dalla casa di Patrizia e sei vetrine più in là rispetto al bar gestito dalla famiglia Cataldo. Ogni giorno vedeva quella donna e ogni giorno si rendeva conto che lei e Massimo, che avevano avuto una relazione in passato, si erano riavvicinati. In realtà non c’era un legame sentimentale, erano ottimi amici, confidenti, ma Gino, come lo chiamano tutti nel quartiere, non riusciva a sopportarlo.
Per questo avrebbe inviato alla donna diversi messaggi invitandola ad allontanarsi da quell’uomo che lui considerava un rivale. «Che ci fai con quello lì?» ripeteva spesso. E ancora: «Non è l’uomo giusto per te». Era questo il tenore delle conversazioni a cui Patrizia cercava di replicare sempre con una gentilezza male interpretata. Forse aveva anche accettato un invito di Gino, ma aveva sempre rifiutato le sue attenzioni. Un rifiuto che Oste non voleva accettare. Del resto nel quartiere è un personaggio conosciuto e «rispettato». Nel suo passato ci sono precedenti per reati contro il patrimonio e una vecchia condanna scontata in carcere per spaccio di stupefacenti. Più di recente era rimasto coinvolto in una complessa storia di ricettazione di liquori, ma i suoi presunti complici, una banda di ladri, si erano ben guardati dal fare il suo nome agli investigatori della Procura di Vercelli. La scorsa estate, infine, dopo un incidente stradale aveva aggredito un’automobilista e poi anche gli agenti della polizia municipale ed era stato arrestato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Un personaggio dal carattere focoso, quindi, ma agli inquirenti, coordinati dal pm Chiara Canepa, non risultano minacce esplicite. Né a Massimo, né a Patrizia. Qualcosa, però, la sera del 31 ottobre avrebbe fatto scattare la furia omicida. Qualcuno racconta che Melis avrebbe invitato Oste a «lasciarla stare». Altri che Patrizia, per allontanarlo in maniera più esplicita, gli avrebbe detto di «essersi fidanzata».
Circostanze che devono essere approfondite, mentre alla base del provvedimento eseguito venerdì sera dalla polizia, ci sarebbe soprattutto il concreto pericolo di fuga. Anche se Luigi Oste, assistito dall’avvocato Salvo Lo Greco, per cinque giorni ha continuato a condurre la sua vita di sempre. Scendeva di casa al mattino, apriva il bar e serviva tranquillamente i clienti. Abitando a pochi metri da via Gottardo, dove Melis aveva parcheggiato la Punto nella quale è stato ucciso, la sua presenza vicino al luogo del delitto potrebbe trovare una spiegazione, ma finora Oste si è avvalso della facoltà di non rispondere. E probabilmente lo farà anche in occasione dell’udienza di convalida.