LA RIVOLUZIONE DEL DIRITTO IN EUROPA
La disputa polacca contro il «primato» del diritto europeo su quello nazionale tocca molto da vicino quella che la Corte costituzionale italiana ha definito la «chiave di volta» della nostra Costituzione e la storia delle sue origini. Questa storia è nel Manifesto che, proprio ottanta anni fa, cittadini privi della libertà personale scrissero a Ventotene. Quello che non fu soltanto un atto di Resistenza contro il «modello» dello Stato totalitario allora prevalente in Europa (non unicamente quindi contro quello fascista). Fu soprattutto un atto di natura «rivoluzionaria», in ragione del suo radicale rifiuto del dogma della sovranità statale assoluta.
Fu per prima la Costituzione italiana del 1948 a tramutare questo programma in una formula giuridica. È l’articolo 11: «L’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». La limitazione della sovranità statale non era solo una «rivoluzione» costituzionale italiana: era un capovolgimento di tutte le concezioni dominanti del costituzionalismo europeo.
Un anno dopo la Costituzione di Bonn si porrà sulla stessa scia; poi gli Stati degli allargamenti successivi, com’è storia.
Quella clausola di «limitazioni» della sovranità sarà dunque il modello di intarsio delle Costituzioni nazionali con un ordinamento sovrastatuale: che da quelle «limitazioni» derivava appunto il suo «primato».
In quel reciproco intersecarsi di ordinamenti si realizza così, secondo le attribuzioni, una «unità nella diversità». Da un lato, un «quadro istituzionale unico» che vincola gli Stati che hanno aderito. Dall’altro, l’incorporazione nel diritto dell’Unione delle «tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» e il «rispetto dell’identità nazionale» (di cui parlano gli articoli 4 e 6 del Trattato europeo).
Ma cos’è l’«identità nazionale»? Finora è stato ragionevole pensare che in essa rientrino istituti e procedure legati alla storia sociale degli Stati come, ad esempio, la materia del diritto di famiglia. Non si è mai pensato che con essa si potessero cancellare garanzie fondative per uno Stato democratico come l’indipendenza dei giudici o la libertà di voto. Anche, semplicemente, perché quelle garanzie sono state richieste come condizioni per essere ammessi nell’Unione. E di qui il diritto della Corte europea di verificarne il mantenimento.
Profetico, nel 1941, il Manifesto sosteneva la legittimità del diritto di ingerenza dell’ordinamento sovrastatuale nella vita istituzionale degli Stati membri. «Assurdo il principio secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la Costituzione interna ad ogni singolo Stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri Paesi europei».
A Bruxelles la Merkel ha usato poche parole: «Chi è entrato nell’Unione conosce i Trattati che ha firmato». Ha così mitemente affermato la non negoziabilità del primato del diritto europeo: che qualsiasi «accomodamento» non potrebbe smentire.
Quanto a noi italiani, non si tratta di essere pro o contro il sovranismo polacco. Si tratta di essere o no dalla parte della nostra Costituzione e della sua storia.
Posizioni
Non si tratta di essere pro o contro il sovranismo polacco, ma di essere o no dalla parte della nostra Costituzione