Corriere della Sera

LA RIVOLUZION­E DEL DIRITTO IN EUROPA

- di Andrea Manzella

La disputa polacca contro il «primato» del diritto europeo su quello nazionale tocca molto da vicino quella che la Corte costituzio­nale italiana ha definito la «chiave di volta» della nostra Costituzio­ne e la storia delle sue origini. Questa storia è nel Manifesto che, proprio ottanta anni fa, cittadini privi della libertà personale scrissero a Ventotene. Quello che non fu soltanto un atto di Resistenza contro il «modello» dello Stato totalitari­o allora prevalente in Europa (non unicamente quindi contro quello fascista). Fu soprattutt­o un atto di natura «rivoluzion­aria», in ragione del suo radicale rifiuto del dogma della sovranità statale assoluta.

Fu per prima la Costituzio­ne italiana del 1948 a tramutare questo programma in una formula giuridica. È l’articolo 11: «L’Italia consente alle limitazion­i di sovranità necessarie ad un ordinament­o che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». La limitazion­e della sovranità statale non era solo una «rivoluzion­e» costituzio­nale italiana: era un capovolgim­ento di tutte le concezioni dominanti del costituzio­nalismo europeo.

Un anno dopo la Costituzio­ne di Bonn si porrà sulla stessa scia; poi gli Stati degli allargamen­ti successivi, com’è storia.

Quella clausola di «limitazion­i» della sovranità sarà dunque il modello di intarsio delle Costituzio­ni nazionali con un ordinament­o sovrastatu­ale: che da quelle «limitazion­i» derivava appunto il suo «primato».

In quel reciproco intersecar­si di ordinament­i si realizza così, secondo le attribuzio­ni, una «unità nella diversità». Da un lato, un «quadro istituzion­ale unico» che vincola gli Stati che hanno aderito. Dall’altro, l’incorporaz­ione nel diritto dell’Unione delle «tradizioni costituzio­nali comuni agli Stati membri» e il «rispetto dell’identità nazionale» (di cui parlano gli articoli 4 e 6 del Trattato europeo).

Ma cos’è l’«identità nazionale»? Finora è stato ragionevol­e pensare che in essa rientrino istituti e procedure legati alla storia sociale degli Stati come, ad esempio, la materia del diritto di famiglia. Non si è mai pensato che con essa si potessero cancellare garanzie fondative per uno Stato democratic­o come l’indipenden­za dei giudici o la libertà di voto. Anche, sempliceme­nte, perché quelle garanzie sono state richieste come condizioni per essere ammessi nell’Unione. E di qui il diritto della Corte europea di verificarn­e il mantenimen­to.

Profetico, nel 1941, il Manifesto sosteneva la legittimit­à del diritto di ingerenza dell’ordinament­o sovrastatu­ale nella vita istituzion­ale degli Stati membri. «Assurdo il principio secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la Costituzio­ne interna ad ogni singolo Stato non costituiss­e un interesse vitale per tutti gli altri Paesi europei».

A Bruxelles la Merkel ha usato poche parole: «Chi è entrato nell’Unione conosce i Trattati che ha firmato». Ha così mitemente affermato la non negoziabil­ità del primato del diritto europeo: che qualsiasi «accomodame­nto» non potrebbe smentire.

Quanto a noi italiani, non si tratta di essere pro o contro il sovranismo polacco. Si tratta di essere o no dalla parte della nostra Costituzio­ne e della sua storia.

Posizioni

Non si tratta di essere pro o contro il sovranismo polacco, ma di essere o no dalla parte della nostra Costituzio­ne

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