Directa Plus, il grafene per batterie elettriche e spugne anti petrolio
Il grafene unito allo zolfo per sostituire le terre rare nelle batterie agli ioni di litio. È la più recente scommessa di Directa Plus, società comasca quotata dal 2016 a Londra fondata da Giulio Cesareo, che la sta sperimentando con l’americana NexTech: l’obiettivo è sviluppare le batterie al litiozolfo, che con il grafene diventerebbero più efficienti e di maggior durata, aggirando la strozzatura delle terre rare.
«Il nostro grafene, essendo fatto senza chimica, secondo loro è il migliore al mondo come conduttore», spiega Cesareo. «L’obiettivo è fare una batteria che costa il 50% in meno rispetto agli ioni di litio e con una energia specifica da 3 a 5 volte, che significa che un’auto farebbe quasi mille chilometri. Poi c’è la sicurezza: se la batteria al litio prende fuoco non la spegni più; questa invece non prende fuoco».
È di due giorni l’accordo con Norda: inserirà la membrana di grafene nelle scarpe da trekking per uniformare la temperatura. «Il grafene comincia a essere richiesto dalle grandi catene di fornitura», dice Cesareo. Il semestre è «il miglior risultato della storia»: +41% i ricavi a 4,56 milioni e ebitda vicino al pareggio (0,44 milioni di rosso, -70%). Per il 70% circa i ricavi arrivano dall’uso ambientale, nella raccolta del petrolio sversato. Directa ha creato una spugna riutilizzabile a maglie di grafene («Grafysorber») con cui in Romania ha recuperato 6,5 mila tonnellate di petrolio, reimmesso in raffineria. Il resto arriva dal tessile e dai filtri come le mascherine anti-Covid («non solo bloccano il virus ma ne uccidono il 90%») e dagli asfalti, con il grafene come coadiuvante per aumentarne tenuta e durata. Ora guarda all’elettronica consumer. Il break even sarà nel 2022.
Sull’Aim Directa Plus da inizio anno è cresciuta di oltre 60% a 83 milioni di sterline; primo azionista è diventato il miliardario americano Patrick Soon-Shiong. «Lavoriamo tanto con l’estero», dice Cesareo, «ma mi piacerebbe relazioni solide e significative con le aziende di Stato, come Leonardo o Eni, e avviare con loro dei joint-lab. Le tecnologie ci sono, ora vanno messe assieme. Se lo facciamo solo con gli stranieri, alla lunga correremo il rischio di spostare valore e innovazione sostenibile fuori dall’Italia».