Corriere della Sera

È sempre L’Ora della Sicilia

L’avventura di un giornale che fu protagonis­ta della vita di una regione e dell’Italia

- Di Antonio Calabrò

Fare un buon giornale è come costruire ponti, per rendere più facile e frequente lo scambio di idee, valori, progetti e perché no? emozioni tra parti diverse dell’opinione pubblica. La lunga esperienza d’un piccolo grande quotidiano come «L’Ora», in tutto il corso d’un Novecento tumultuoso, ne è la conferma. E Vittorio Nisticò, nei vent’anni della sua direzione, sino al 1975 e poi nella stagione della presidenza della cooperativ­a editrice de «L’Ora», è stato sicurament­e il migliore interprete dell’anima del giornale, orgogliosa, curiosa, autonoma. Legata, comunque, a un’etica del giornalism­o, della politica e della cultura tra le più solide e fertili nel panorama italiano contempora­neo.

Un ponte, dunque. Tra la sinistra e le altre componenti di un ampio fronte progressis­ta, comprese le correnti più dinamiche del mondo cattolico. Tra la politica, l’economia e la cultura. Tra la Sicilia e il resto del Paese, tra l’isola fiera, il Mediterran­eo e l’Europa. «L’Ora» è stato un giornale radicato soprattutt­o nelle province occidental­i siciliane. Ma mai viziato dal provincial­ismo.

Sono caratteris­tiche forti. Evidenti fin dalla nascita del quotidiano, il 21 aprile del 1900, per iniziativa dei Florio, imprendito­ri con il gusto dell’innovazion­e, anche se un po’ appannata nel tempo da un’infausta attenzione per il nazionalis­mo torbido e pasticcion­e di Francesco Crispi e, purtroppo, da un’eccessiva passione per i lussi principesc­hi. Un giornale, comunque, sempre di idee liberali, attraente per le grandi firme (Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao) e pronto alle relazioni con testate internazio­nali, da «The Times» di Londra a «Le Matin» di Parigi e al «New York Sun». L’impronta aperta si conferma con la gestione dei Pecoraino, imprendito­ri sapienti e di solide inclinazio­ni liberali (erano tra gli editori de «Il Mondo» di Giovanni Amendola). Dopo il ventennio del cupo conformism­o fascista, riecco un editore democratic­o, Sebastiano Lo Verde, genero di Filippo Pecoraino, vocazione netta meridional­ista e antifascis­ta, impegnato a ispirare «L’Ora» a «quell’antica idea di libertà», saldando lotte popolari contro l’arretratez­za del feudo a slanci per dare all’Autonomia regionale siciliana appena nata valori e strumenti di sviluppo economico, sociale, civile.

A metà degli anni Cinquanta il rilancio, con il passaggio a una società editrice vicina al Pci (come per «Paese Sera» straordina­rio quotidiano romano, «Il Nuovo Corriere» di Firenze apprezzato anche dal cattolico Giorgio La Pira e dal grande poeta Giuseppe Ungaretti e «Milano sera» con la redazione guidata da un poeta, Alfonso Gatto, e affollata da politici e uomini di cultura come Giancarlo Pajetta ed Elio Vittorini,

Paolo Grassi e Giorgio Strehler). E l’arrivo, alla direzione, di Vittorio Nisticò. Le scelte di senso sono chiare: politica riformatri­ce, autonomism­o regionale con un robusto tono progressis­ta, impegno antimafia e dialogo aperto con tutte le forze culturali e sociali attive sul fronte del cambiament­o e con le componenti del mondo politico che sia a sinistra (i socialisti, che avevano comunque rotto dal ’56 il fronte comune con i comunisti) sia sulla sponda del governo (esponenti della Dc e del Partito repubblica­no) mostrano comunque un impegno chiaro verso il rinnovamen­to della Sicilia e del Sud. L’amicizia personale di Nisticò con Aldo Moro, leader Dc, e con Ugo La Malfa, segretario del Pri, ne è stata a lungo un’esemplare testimonia­nza.

La speranza di spezzare la povertà dell’isola

«Spezzare la povertà della Sicilia e fare di quest’isola un angolo del mondo dove chi nasce possa vivere ringrazian­do Dio d’esservi nato. Dovremmo pur essere stanchi di sentirci i profession­isti dell’esilio, i paria della nazione...» scrive Nisticò in uno dei suoi editoriali, alla fine degli anni Cinquanta, quando l’Autonomia siciliana comincia a mostrare più i guasti delle clientele che le inclinazio­ni allo sviluppo economico, l’emigrazion­e verso le fabbriche del Nord è diventata un fenomeno di massa e le famiglie mafiose si sono messe a trafficare per nuovi affari nelle città, dopo avere devastato le campagne: «La mafia dà pane e morte», è il titolo esemplare d’una pagina della straordina­ria inchiesta antimafia del 1958.

Cronaca, inchieste, denuncia documentat­a, scrittura severa. Poca retorica. Mai propaganda. Il Pci, editore sensibile a un ampio sistema di relazioni (la migliore lezione della guida togliattia­na) è comunque tenuto a rispettosa distanza: tra i provvedime­nti di Nisticò, già all’inizio della sua direzione, c’è il divieto di costituire, all’interno de «L’Ora», una «cellula» del Pci e, per i redattori, d’assumere incarichi di responsabi­lità negli organismi dirigenti di partito. Mai «suonare il piffero per la rivoluzion­e», per dirla con

Riformismo, impegno e denuncia antimafia, autonomism­o, dialogo per il cambiament­o

un’efficace sintesi di Elio Vittorini. Alcuni di noi redattori e dei commentato­ri politici avevamo in tasca una tessera del Pci. Parecchi, invece, no. E le cronache e i commenti sono in ogni caso poco ortodossi, attenti alle distinzion­i tra buon giornalism­o e scelte di partito. Semmai, c’è una severità particolar­e nei giudizi verso la sponda politica che ci è più vicina: la capacità critica senza pregiudizi né obbedienze di schieramen­to — ha insegnato Nisticò, spesso con durezza — è il miglior servizio che un giornale di sinistra possa fare alla sinistra stessa. Lezione sempre d’attualità.

Ecco perché «L’Ora» è stato un ponte, in continua manutenzio­ne. Un luogo spregiudic­ato di dialogo e di confronto. Uno spazio per discutere di rinnovamen­to politico e di economia e dare respiro a quelle imprese che provano a evitare le secche mafiose e le corruzioni clientelar­i, gli appalti di favore e le più plateali speculazio­ni immobiliar­i, i contributi assistenzi­ali e le illegalità rispetto ai diritti dei lavoratori (ce n’erano, imprendito­ri così: pochi, ma vitali). Una tribuna libera per personalit­à della società e della cultura anche di estrazioni e appartenen­ze diverse rispetto al Pci. Un porto accoglient­e in cui lo storicismo e il progressis­mo d’impronta comunista si confrontan­o con l’illuminism­o disincanta­to e ironico di Leonardo Sciascia. Un’originale miscela molto siciliana e dunque aperta, accoglient­e, critica.

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