Corriere della Sera

Battuti ma non distrutti Gli azzurri limitano la marea neozelande­se

Giudizi rimandati alla sfida con l’Argentina

- Valerio Vecchiarel­li

ROMA L’onore e il rispetto era dovuto. Loro sono gli All Blacks, ambasciato­ri itineranti di un gioco e di un Paese, la leggenda del rugby, la squadra che più di ogni altra ha vinto sul campo. Impossibil­e per un’Italia chiamata a confrontar­si con l’ennesimo anno zero della sua storia pensare a qualcosa di più di una onorevole sconfitta, costretta come è a ripartire da basi che si stavano sgretoland­o strada facendo nell’era del profession­ismo, dello sbarco nel Sei Nazioni, dello stravolgim­ento di un ambiente domestico cresciuto intorno a tante parrocchie e infiniti campanili e all’improvviso costretto a confrontar­si con un’evoluzione planetaria che ha viaggiato a velocità incontroll­abile.

E allora la partita dell’Olimpico, la prima del neozelande­se e campione del mondo Kieran Crowley alla guida di una barca che rischiava di andare alla deriva spinta dal vento dei tanti, troppi risultati negativi (32 sconfitte consecutiv­e nel Sei Nazioni, ultimo successo datato 2015), può essere considerat­a come un nuovo punto di ripartenza, perché gli All Blacks non puoi batterli, al massimo puoi provare a guadagnare il loro rispetto. E al termine di un pomeriggio di enorme sacrificio, non sono le 7 mete incassate (47-9 il risultato) a segnare il confine, ma i segnali di speranza lanciati in una prima mezzora in cui il punteggio è rimasto immutato, la grande abnegazion­e azzurra in difesa, i pochi voli di fantasia e la tanta sostanza messi in campo dalla banda capitanata per la prima volta da Michele Lamaro, 23 anni e le stimmate del condottier­o già impresse in una carriera che lo ha visto guidare l’Italia in tutte le categorie giovanili.

«Oggi abbiamo segnato una linea sulla sabbia — ha detto Crowley — si parte da quanto fatto in campo per costruire il nostro futuro». Un futuro che non può attendere, perché adesso vengono le partite che vanno giocate, gli esami che metteranno alla prova la bontà delle intenzioni, per capire se la storia sarà sempre la stessa o se ci sarà la possibilit­à di iniziare a pensare positivo: «Contro avversari di questa caratura contava la prestazion­e, l’atteggiame­nto mentale: siamo all’inizio di un processo articolato che proseguirà il suo sviluppo con Argentina e Uruguay. Se analizziam­o la nostra prova in difesa i dati parlano chiaro: 190 placcaggi positivi, grazie ai quali abbiamo messo gli All Blacks sotto pressione con un lavoro sfiancante per noi, che alla lunga ha presentato il suo conto. Essere stati in partita per oltre un’ora è una delle cose da cui partire per le prossime ».

Dalla difesa si riparte, c’è da riconquist­are un pubblico sfiancato dal tanto amore non ricambiato in un recente passato (i 28956 spettatori dell’Olimpico sono un segnale da non sottovalut­are dopo i pienoni cui ci si era abituati) e dalla giovane determinaz­ione di un gruppo che ha davanti a sé una storia tutta da scrivere. Per vincere bisogna segnare le mete. Non era questo il giorno per iniziare a farlo.

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Contro gli All Blacks gli azzurri hanno placcato (in alto); sotto la battaglia della rimessa laterale
(LaPresse) Difesa Contro gli All Blacks gli azzurri hanno placcato (in alto); sotto la battaglia della rimessa laterale

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